Cultura e Spettacoli

L’anfiteatro involse in cava

Già così fa impressione. E pensare che quanto è sopravvissuto è soltanto una metà. L’opera di Renato Bartoccini, l’architetto che nel 1932 si occupò si riportare alla luce quanto rimasto sepolto per secoli, non poteva andare oltre. Troppo era stato distrutto e asportato a seguito delle devastazioni del 663, anno in cui le forze di Costante II, imperatore d’Oriente, sbarcarono a Taranto nell’ultimo tentativo dell’Impero Romano d’Oriente di riconquistare i territori occidentali. Ma prima, quando era in esercizio, chissà quale altro spettacolo doveva offrire l’anfiteatro di Lucera. Un alto muro, probabilmente adorno di sculture e fregi, avvolgeva l’immensa cavea ; di tale recinzione sono sopravvissute solo le strutture murarie dei due contrapposti ingressi (vedi immagine). Infisse in questo muraglione, vi trovavano sostegno altissimi tiranti in legno la cui funzione era sorreggere per mezzo di un sistema di corde e anelli un enorme velario. E’ possibile che la copertura proteggesse, oltre le gradinate, anche l’arena. Si presume che tali ‘spicchi’ in tessuto fossero di tela bianca, in modo che di giorno la luce del sole diffondesse all’interno un chiarore reso suggestivo dall’assenza di ombre ; a sera l’illuminazione era assicurata da un sistema di fiaccole disposte – una ad ogni passo – lungo il muretto perimetrale che separava l’anello più basso della gradinata dal fondo dell’arena. Ma gli uomini di Costante II non ebbero rispetto di questo capolavoro, avendo avuto disposizione – non si può escluderlo – di abbattere le più vistose testimonianze dell’era pagana. E’ però credibile che la loro azione si sia limitata a un gesto simbolico : una breccia di pochi metri (non aveva senso in quel momento distrarre tanti uomini dal fronte di guerra). Un gesto insomma, non più che quello, sufficiente tuttavia a dare il ‘la’ ad un costume assai diffuso nell’antichità : la spoliazione dei fabbricati in abbandono. Un po’ alla volta, dapprima timidamente, poi via via con crescente baldanza, i lucerini si diedero a depredare preziosi blocchi di pietra squadrata da impiegare altrove. E se risparmiarono i due portali fu solo nel timore, ragionevole, del crollo degli architravi. In conclusione, a Lucera si ripeté quanto accaduto a Egnazia. A radere al suolo la città per la quale passò Orazio non furono soltanto i Goti, i quali certamente spargendo il fuoco contribuirono a molti crolli. Anche i tanti fabbricati rimasti in piedi, risparmiati dalle fiamme o alle stesse sopravvissuti, vennero abbandonati per sempre dagli egnatini. Delle rovine approfittarono un po’ tutti, anche a distanza di miglia per mettere su casa o riaccomodare quella vecchia. Più o meno nello stesso periodo, uno dei più grandi anfiteatri dell’impero e una delle più vivaci città dell’Apulia involsero in cave a cielo aperto.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 16 Settembre 2017

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