Cultura e Spettacoli

Taranto regina della porpora

Prima dell’avvento della cocciniglia e dell’anilina, il color porpora veniva ricavato con molta fatica dal murice, un mollusco. Perché molta fatica? Perché bisognava catturare il murice, separarlo dalla conchiglia, individuare una particolare ghiandola, premerla, ricavarne il pochissimo liquido vischioso contenuto (non più che una goccia) e sottoporre lo stesso a un trattamento di macerazione, prima, e di cottura a fuoco lento, dopo. Per tingere un solo mantello servivano migliaia di murici e due settimane di lavoro. Ecco spiegato per quale motivo nell’antichità – come testimoniato anche da Plinio – solo i più alti rappresentanti delle caste aristocratiche e sacerdotali potevamo paludarsi di porpora. Comune fino a cento metri di profondità nei mari pugliesi, il murice è ancora oggi ricercato, ma solo per insaporire – lesso – alcuni piatti (non mancano gli estimatori che amano consumarlo crudo). La sua maggiore concentrazione continua ad essere nelle acque di Taranto, che a suo tempo fu una formidabile produttrice di porpora. Lo dimostra un’annotazione di Johann Hermann Von Riedesel, barone di Eisenbach, il quale nel 1726 nel corso di un gran tour visitò la città dei due mari. Di quell’esperienza l’aristocratico tedesco lasciò traccia in una lunga lettera indirizzata al celebre Wickelmann, suo grande amico ; la missiva è stata di recente data alle stampe da Lorenzo Capone Editore : ‘Nella Puglia del ‘700’ (Lecce, 1979). Veniamo alla testimonianza. Dopo una serie di lusinghiere considerazioni sulla dolcezza del clima, l’onestà e l’ospitalità del “popolino” e la bellezza delle donne, il viaggiatore osserva che “accosto al Mare Piccolo, che era propriamente l’antico porto, si trova una collina tutta formata da murici, conchiglia, come è risaputo, dalla quale gli antichi traevano la porpora. Si opina che questa collina si sia formata con le conchiglie vuote che gli operai delle tintorie vi gettavano, come il monte Testaccio di Roma si è formato con i frammenti di ceramica”. Tale collina – annota il traduttore della lettera di Von Riedesel – era detta ‘Monte dei coccioli’. Dove esattamente si levava questa collinetta artificiale? In soccorso ci viene la testimonianza di altro coevo viaggiatore, questa volta svizzero : il Conte Carlo Ulisse De Salis Marschlins, autore di ‘Viaggio nel regno di Napoli, 1793). Egli parla di un “Monte Testaceo, consistente nella massima parte di avanzi di bivalvi e murici” e lo colloca “di là dal convento alcanterino” (la chiesa di S.Egidio – n.d.r.), ovvero – di può desumere – dalla parte opposta della città nuova, quella orientata verso il Salento. Tale indicazione, tenuto conto del fatto che Von Riedesel dice “accosto al Mare Piccolo”, consente di localizzare tale rilievo nell’area oggi occupata da Villa Peripato (i giardini pubblici). Area nella cui parte bassa sono venuti alla luce resti di tintorie, mentre nella parte bassa sono stati rinvenuti moltissimi gusci di murici.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 7 Settembre 2017

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio