Cultura e Spettacoli

“10 febbraio dalle foibe all’esodo” il libro di Roberto Menia

<<La Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del Ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale>>. Così recita il testo della legge 30 marzo 2004 n. 92 con la quale, dopo sessanta lunghi anni, veniva abbattuto quel muro di omertoso silenzio che copriva la pulizia etnica perpetuata dai partigiani jugoslavi di Tito contro gli italiani delle terre di nord-est, alla fine della seconda guerra mondiale. Una battaglia di civiltà e di verità storica condotta da Roberto Menia, figlio di un’esule istriana di Buie, che ha voluto raccogliere nel libro “10 febbraio dalle foibe all’esodo” quelle storie che non si possono e non si debbono perdere, ma tramandare e affidare alla coscienza nazionale come insegnamento e monito. <<Storie di eroismo e di sofferenza, di morte e di vita, di stoicismo e di santità: un grande inno di italianità e di libertà>> si legge nella quarta di copertina. Nella presentazione del suo volume a Bari presso la Fondazione Tatarella, l’autore è riuscito a trasmettere al pubblico tutta la drammaticità degli eventi narrati, proprio perché, in quegli scritti ci sono le storie di gente comune. Uomini, donne, bambini, anziani perseguitati dall’odio titino verso tutto ciò che rappresentava l’Italia e la sua cultura. Attraverso le vicende personali si ricostruisce il quadro completo, così la realtà dei fatti allontana ogni futile polemica politica o tentativo di negazionismo. Leggendo il libro sorge spontanea una riflessione su quanto accade oggi nel mondo. L’epopea del popolo italiano e il contestuale dramma dello sradicamento vissuto dagli esuli non sono bastati ad evitare al mondo altre simili sciagure. Ne è testimonianza una triste vicenda di cronaca degli ultimi giorni che, a distanza di 65 anni, accomuna la sorte di due bimbe. Nel libro di Roberto Menia si parla di Marinella “Rosa divelta all’alba della vita hai portato in cielo il tuo profumo”, così recita la lapide posta nel museo allestito all’interno del Centro Raccolta Profughi di Padriciano. La piccola non aveva ancora compiuto un anno quando morì di freddo, nel gelido inverno del ’56, in una squallida baracca di legno del CPR. Sua sorella, Fiore Filippaz, ricorda così quei giorni: “Avevo otto anni quando, nel dicembre del 1955, lasciai per sempre il paesino dell’Istria dove ero nata. Arrivammo a Trieste in una giornata fredda e grigia. Mia madre, mia zia e noi cinque figli. Mio padre era giunto due giorni prima ed era là ad aspettarci al posto di blocco assieme a delle persone che avevano il compito di ‘smistarci’. La nostra destinazione definitiva fu il campo profughi di Padriciano. Là, fra la neve ed il gelo pungente, trovammo ad accoglierci un filare di baracche di legno. Ci venne assegnata la baracca n. 30, porta n.11 […] Per diverso tempo dormimmo tutti vestiti perché non c’era il riscaldamento. Noi bambini ci ammalammo quasi subito. Marinella, la nostra sorellina più piccola, non resse a quel freddo maledetto e morì in tre giorni di broncopolmonite. Quella notte mamma si accorse che Marinella era diventata blu. L’avvolse in uno scialle e la portò di corsa all’ambulatorio del campo ma ormai non c’era più nulla da fare. Il medico le disse: ‘Signora la sua bambina è morta di freddo. Era l’8 febbraio 1956”. Allo stesso modo giovedì scorso, Iman, bimba siriana di un anno e mezzo, è morta di freddo ad Afrin, nella Siria nord-occidentale martoriata dal conflitto, tra le braccia del padre che tentava a piedi di raggiungere un ospedale per curare la sua piccola malata di bronchite. Secondo le fonti internazionali, il papà Mahmud, profugo della regione di Damasco, era sfollato insieme alla famiglia almeno altre tre vote. L’ultima regione di provenienza era la periferia sud-occidentale di Aleppo vicina a Idlib. Da lì la famiglia aveva raggiunto le campagne di Afrin, dove nevicava da giorni e dove mancavano le più basilari strutture di accoglienza dei profughi. L’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria ha affermato che la piccola Iman si era ammalata di bronchite, e che le sue condizioni erano peggiorate, tanto da indurre il padre a rischiare di mettersi in cammino per diverse ore per raggiungere il più vicino ospedale attraversando all’alba, a piedi, un percorso di montagna. Nonostante ciò la bimba è morta prima di arrivare in ospedale”. Storie a cui si rimane sempre troppo indifferenti. Se l’umanità sopravvivrà a tutto questo, non resterà saldo l’uomo con l’empietà, ma le radici dei giusti non saranno smosse.

Maria Giovanna Depalma

 


Pubblicato il 18 Febbraio 2020

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