Cronaca

A.A. agenti penitenziari meglio attrezzati e addestrati cercasi

Sempre più dura la vita degli agenti penitenziari, ogni giorno esposti maggiormente ai rischi di aggressioni anche a causa degli aumentati compiti assegnatigli per legge come la traduzione dei detenuti, accompagnate da tentativi di evasione che si verificano durante le attività, appunto,  di trasferimento dei detenuti. Una situazione di ‘estrema precarietà’, la definiscono gli addetti ai lavori e i rappresentanti di categoria, condizione aggravata da “…inaccettabili turni di lavoro, tensioni e soprattutto ‘stress’”. Il problema è pure che chi dovrebbe migliorare le condizioni di vita e lavoro degli agenti penitenziari, attraverso maggiori forme di tutela e di difesa dei poliziotti penitenziari, non interviene. La dotazione al Corpo della pistola “taser” sarebbe uno degli ulteriori ausili a supporto degli agenti in divisa grigia, sebbene non l’unico e risolutivo, fanno sentire la propria voce dal Coordinamento Sindacale Penitenziario. Il Taser (acronimo dell’inglese Thomas A. Swift’s Electronic Rifle, “fucile elettronico di Thomas A. Swift”) è un tipo di pistola elettrica, anche nota come ‘storditore’ elettrico o dissuasore elettrico, classificato tra le armi da difesa «meno che letali» che fa uso dell’elettricità per paralizzare i movimenti del soggetto colpito facendone contrarre i muscoli. Da annotare pure, però, che l’arma in questione è stata inserita dall’Organizzazione delle Nazioni Unite nella lista degli strumenti di tortura: secondo Amnesty International l’arma in pochi anni è stata responsabile di centinaia di morti nei soli Stati Uniti, ma secondo altri studi le morti sarebbero state concausate dai problemi cardiologici di cui soffrivano i soggetti colpiti dalla pistola ‘Taser’. Fatto sta che, in presenza di una recrudescenza dei fenomeni aggressivi che si verificano nei penitenziari ai danni degli agenti, il Coordinamento sindacale ritiene di suggerire per di più un adeguamento dei “percorsi didattici” degli agenti in formazione, attraverso l’introduzione di tecniche addestrative più consone, finalizzate al trattamento dei detenuti nei casi più estremi. Ecco perché il Coordinamento sindacale penitenziario sollecita nuovamente un incontro con i vertici ministeriali, prendendo atto che gli stessi continuano –come detto- a sottrarsi al confronto  nonostante il sindacato abbi in più occasioni posto in evidenza le numerose criticità che affliggono il sistema detentivo italiano. Secondo i dati forniti dallo stesso Coordinamento sindacale penitenziario, l’organico degli agenti penitenziari fino a un paio di anni fa era pari a 45 mila unità, fra agenti e personale addetto alla sicurezza. Oggi si superano di poco le 37mila unità,  con una perdita secca a causa del mancato “turn over” di circa 9mila agenti.  “Una situazione – sottolineano i rappresentanti dei lavoratori all’interno delle carceri – aggravata da una legge di riordino delle carriere che ha ridotto di ulteriori 5mila unità gli organici di polizia penitenziaria determinando pesanti ricadute sui carichi di lavoro non più sostenibili”. E così la casa circondariale di Bari resta ancora paradiso per i rifornitori di droga, visto che è sempre più difficile individuare i lanciatori delle sostanze stupefacenti dalle parti di Corso Alcide De Gasperi, causa malfunzionamento delle telecamere interne ed esterne costate centinaia di migliaia si euro. Per questo si rende necessario  intensificare la vigilanza del muro di cinta spesso sguarnito per carenza di personale di polizia penitenziaria, ma ancora più spesso per la riparazione dei sistemi di controllo. Facile dire che fino a quando ciò non avverrà, si rende necessario incrementare anche il pattugliamento delle altre forze di polizia intorno al carcere, al fine evitare che la <<neve bianca>> continui a cadere all’interno carcere barese. In effetti la casa circondariale di Bari e la sua <fame> di droga non è una novità: la concentrazione di tossicodipendenti in carcere è molto elevata e costituisce un serio problema per gli operatori sociali che devono intervenire a gestire le situazioni più disperate: autolesionismo, Aids e sindromi da astinenza. La tossicodipendenza ha rappresentato, nel tempo, un fattore di cambiamento del carcere. La massiccia presenza di assuntori di droga negli istituti di pena ha richiesto la preparazione specifica degli operatori addetti, con particolare riguardo alla riqualificazione del personale di polizia penitenziaria. Come abbiamo già scritto su queste colonne, infatti, tempo fa furono arrestati agenti penitenziari proprio a Bari accusati di introdurre la droga nel carcere del capoluogo pugliese, in cambio di regali di vario genere e prestazioni sessuali da parte di escort. Sarà stata solo colpa della penuria di agenti di custodia, o c’era dell’altro? In ogni caso rendere maggiormente attrezzate ed operative le guardie nei nostri istituti di pena, si presenta come una necessità indifferibile.

 

Francesco De Martino

 


Pubblicato il 6 Febbraio 2019

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