Cultura e Spettacoli

A Canne le acquose parole dei Duci

Plutarco e Polibio riportano i discorsi che Annibale e Paolo tennero ai loro uomini prima della battaglia di Canne. Gli storici dubitano della veridicità di queste esortazioni alla guerra. Tale scetticismo parte da una considerazione elementare : Se gli eserciti romano e cartaginese erano rispettivamente di 40 e 80mila uomini, come poteva la voce di un uomo essere udibile per tutti? Hansen sostiene che tutti i discorsi di questo tipo riportati dagli storici antichi sono invenzioni retoriche e che in realtà un comandante poteva al massimo a cavalcare tra i ranghi gridando “pochi motti o brevi frasi di incoraggiamento”. E quanto alla natura delle argomentazioni, esse – come molti secoli più avanti avrebbe teorizzato Raimondo Montecuccoli, un condottiero del XVII secolo e teorico militare – non potevano allontanarsi da quattro priorità : la giustezza della causa, la paura dell’infamia, la gloria e la preda. Effettivamente cose come : “Soldati, ricordate che combattete per la grandezza della Patria, che essa non perdonerà la vostra codardia e che col bottino vostra sarà pure la gloria!” si potevano ripetere anche trenta, quaranta volte all’interno dello schieramento col risultato di raggiungere (se la voce del condottiero era stentorea) tutti i soldati. Ma a Canne c’era una difficoltà in più : L’esercito di Annibale era un contingente multinazionale composto da Africani, Spagnoli, Liguri, Celti, Fenici, Italiani e Greci ; anche l’esercito di Roma presentava, sia pure in dimensioni ridotte, lo stesso problema, poiché a parte i Latini gli Alleati italiani parlavano lingue diverse. A queste condizioni com’era possibile che un capo si rivolgesse a tutti? Annibale e Paolo dovettero comportarsi allo stesso modo : Parlare in privato agli ufficiali, i quali erano accompagnati da interpreti. Aiutati da questi ultimi, gli ufficiali potettero dopo  portare la parola dei due Comandanti alle singole ‘etnie’ combattenti. Dunque, Plutarco e Polibio non mentono. Resta da vedere cosa della parola dei Comandanti giunse alle orecchie dei soldati. Non ci si può aspettare molto da interpreti ‘di guerra’. Piuttosto che raffinati linguisti, erano costoro mercanti itineranti che avevano appreso sul campo quanto bastava per non equivocare a proposito di numeri, vocaboli, pochi aggettivi e qualche verbo fondamentale. Non erano perciò in grado di cogliere sfumature, comprendere il senso profondo delle cose. Se a ciò si aggiunge, infine, che qualche ufficiale potrebbe essere stato tentato dall’idea di modificare qualcosa per toccare più da vicino il cuore dei soldati, si può concludere che a Canne i sottoposti di Annibale e Paolo sostituirono alle verosimili ovvietà dei loro Comandanti, personali ‘pacchetti’ di luoghi comuni e ruffianerie assortite.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 29 Novembre 2012

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