Cultura e Spettacoli

A chi sei figlio?

A chi sei figlio? Una volta in paese, o in città tra buona gente, si usava così chiedere l’identità al prossimo. Un modo di ‘onorare il padre e la madre’ lontano anni luce dalla banalità algida e spersonalizzante di questo presente dove tu non esisti se a dirlo non è un carta d’identità,una tessera sanitaria, un codice fiscale, una password… La protagonista dell’ultimo, breve romanzo di Giorgio Saponaro non ha nome, le basta essere “La figlia dell’attendente”, come si intitola questa recentissima edizione di Adda. Non si sa altro a proposito della sua ascendenza maschile, stante il muro levato dall’ostinazione della madre. Questo riserbo sembra caricare di energia la donna che contingenze impietose chiamano a scapicollare mattina e sera lavorando a servizio. Destino del sangue. Come il padre era sotto lo schiaffo del Colonnello Minaccia (nome omen…), così sua figlia deve fare i conti con una padrona. Eppure lei avrebbe potuto assai più, avrebbe potuto studiare, arrivare più lontano dei fratellastri, questi mediocri che nel gene manifestano un’origine affatto brillante. Chi è allora questo attendente? Narrato in prima persona e con sciolta freschezza sullo sfondo di una Bari secondo Novecento, “La figlia dell’attendente” è l’attesa di una risposta, un crescere della curiosità che solo nel finale troverà soddisfazione. Scritto da un uomo, il testo manifesta un sentimento autenticamente femminile, ancorché ruvido e spiccio, sottilmente mascolino. Ciò di primo acchito rende credibile e simpatico il personaggio principale, per il quale il lettore si ritrova a parteggiare, solleticato dall’ansia di una rivelazione che non può, non deve mancare. Ma quando poi essa giunge, quando l’attendente smette d’essere una figura vaga per assumere generalità e connotati, ti accorgi che – di fatto – la rivelazione è fine solo ad una definizione del rapporto madre-figlia. Sapere che il padre si chiamava Antonio Scognamiglio, che  era calabrese e bruno non cambia la vita di questa donna, non le spalanca orizzonti inattesi. Piuttosto, sembra placarla in ordine ai dubbi che poteva nutrire verso la personalità della madre e, per ricaduta, verso quella propria. Un romanzo di donne, in definitiva, nelle cui pagine gli uomini restano in secondo piano, tutti asciugandosi nella figura – a questo punto opportunamente vaga – dell’Attendente. La scoperta  finale assume in questo modo il sapore dell’ultimo tassello necessario alla ricomposizione di un puzzle. E l’immagine che prende corpo non può essere che un’immagine di donna, come il bel volto femminile che appare in copertina. Un’opera scritta di getto, tre giorni e tre notti senza interruzione passati davanti ad una macchina per scrivere, così ci ha rivelato Giorgio. A leggerla ci sono bastate tre ore.
 
italointeresse@alice.it
 
 
 
 


Pubblicato il 29 Aprile 2011

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