Cultura e Spettacoli

A Mezzogiorno le odalische

Quello di Domenico Cantatore, nato a Ruvo di Puglia il 16 marzo 1906, è stato il classico percorso dell’artista nato a sud, povero, ma talentoso e tenace. Ultimo di otto fratelli, patì la fame. Consapevole dei propri mezzi (aveva cominciato decorando le stanze delle abitazioni signorili), emigrò neanche maggiorenne. A Milano tenne la sua prima personale alla Galleria d’Arte Moderna. Due anni dopo, nel 1932, era a Parigi, dove apprese la lezione degli Impressionisti. Tornato a Milano, espose alla Galleria del Milione la produzione parigina. Raggiunta una certa notorietà, divenne accademico a Brera nel 1940. Il vero successo arrivò nel dopoguerra. Assimilata la lezione del realismo da Morandi, Cantatore nel 1956 si recò in Spagna. Il soggiorno iberico segnò la svolta. La riscoperta delle tonalità luminose e calde del Mezzogiorno accese nel pittore ruvese l’amore verso il paesaggio e, in particolare, verso la figura umana. Le suggestioni e le memorie dell’infanzia si ridestarono con prepotenza ed ecco dal pennello prendere vita memorabili e ‘nodosi’ contadini e confratelli da Settimana Santa. A fare breccia furono soprattutto le donne : vedove nerovestite, arcaiche come Parche, ruvide casalinghe colte nella loro maestosa inamovibilità sulla soglia di casa, formose figlie della plebe ritratte in posa da odalisca. Le odalische ‘nostrane’ hanno rappresentato l’acme della pittura di Domenico Cantatore. L’originale sensualità dello stereotipo di partenza (l’harem, il sultano, i veli…) qui vede stemperata la sua esuberanza a beneficio di una femminilità assolutamente popolare, non di meno grandiosa, conservando – seppur vago – l’odore del Mediterraneo, arricchito della percezione del muro a secco, della controra, della parete imbiancata a calce. Se le odalische di Delacroix hanno portato nella pittura moderna il molle incanto d’Oriente, scriveva Marco Valsecchi, le odalische di Cantatore rivelano invece la primitiva fissità della ‘mater matuta’ mediterranea (nella mitologia romana la Mater Matuta era la dea del Mattino o dell’Aurora e quindi protettrice della nascita degli uomini e delle cose – n.d.r.) e trovano l’abbandono sul braccio ripiegato come nelle metope arcaiche col mito di Fedra (la metopa è un elemento architettonico di fregio dell’ordine dorico). L’opera riprodotta nell’immagine è la famosa ‘Odalisca in verde’ dipinta nel 1966. La tela, che misura cm 70×50 e che fa parte della Collezione Dani (Genova), è stata realizzata con ‘olio magro’, una tecnica che impiega pigmenti a bassa percentuale oleosa (ne viene un colore più denso, più difficile da stendere e suscettibile, nel tempo, di creare screpolature).

 

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 22 Maggio 2015

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