A Taranto i tonni
La toponomastica tarantina contempla una Via Scoglio del Tonno che si allunga alla periferia del centro abitato in direzione di Talsano. Invano però nelle acque del Mar Grande come di quello Piccolo si cercherebbero tracce di questo isolotto, che un tempo spuntava a dieci metri da un piccolo promontorio del Mar Grande, a occidente dell’imboccatura del Mar Piccolo. In tempi preistorici scoglio e rilievo costituivano un tutt’uno. La felice ubicazione del sito invogliò i primitivi a prendere possesso di quel piccolo lembo di terra, come testimoniato da numerosissimi e preziosi rinvenimenti che, stratificati, si estendono dal Neolitico all’Età del Ferro (particolarmente importanti i resti del villaggio dell’Età del Bronzo, con tracce di muro di fortificazione, da cui proviene la maggior parte degli oltre settecento frammenti di ceramica di tipo miceneo e degli oggetti in bronzo recuperati nel sito). In seguito la collinetta cominciò a diventare oggetto di escavazioni allo scopo di ricavarne mattoni. Ciò indebolì il blocco di carparo che, già minato dalle infiltrazioni e dall’azione erosiva del mare, finì col collassare provocando il distacco della punta del promontorio dalla linea di costa. Era nato lo Scoglio del Tonno. Poi arrivò l’era industriale e fu la fine. La necessità di una grande trincea per la tratta ferroviaria Taranto-Metaponto impose il livellamento dell’area e il ricongiungimento del vecchio scoglio con la terraferma. Rimase solo il toponimo. Ma cosa c’entra il tonno? Il toponimo in questione fa pensare che anticamente in quel punto della costa ionica funzionasse una tonnara. Una tonnara forse di tipo fisso, ovvero una rudimentale struttura consistente in un complesso di reti sostenute da pali che, disposte ad imbuto, convogliavano i branchi verso quelle insenature dove era facile intrappolare le prede. Quando finivano in quella specie di vicolo cieco, i tonni venivano catturati con grossi ami o lunghe aste armate ad arpione. La lavorazione doveva avvenire in loco, dando vita, forse, ad una vivace commercio del prodotto finito. Tonni nello Ionio? In uno dei suoi tanti studi, Filippo Briganti, un patrizio gallipolino vissuto nel Settecento, riporta che la pesca del tonno nello Ionio pugliese era praticata sin dai tempi dei Messapi. Briganti elenca alcune tonnare pugliesi. La più importante, quella di Gallipoli, aveva un imbuto così vasto (si calcola arrivasse a 1600 m.) che in trappola cadevano persino balenottere e foche monache ; a sud della stessa città era attivo un secondo e più piccolo impianto, quello detto ‘del Pizzo’. Nello specchio d’acqua di Santa Cesarea c’era la tonnara di Sant’Isidoro, detta anche di Santa Caterina. L’attività di queste tonnare è documentata dal periodo angioino all’Ottocento. Poi? L’unica spiegazione è che nel tempo l’efficienza di queste tonnare abbia impoverito talmente il mare di tonni da non giustificare più il mantenimento di quelle strutture. – Nell’immagine, la tonnara di Favignana in un acquerello di Antonio Varni del 1876.
Italo Interesse
Pubblicato il 4 Agosto 2018