A tavola con i cereali antichi
L’Istituto Alberghiero Bonghi di Lucera ha indetto un concorso gastronomico che si distingue dagli altri per la particolarità delle materie prime impiegate
In collaborazione col Cnr, numerose aziende e il Dipartimento di Scienze del suolo, della pianta e degli alimenti dell’università di Bari, è partito dall’Istituto Alberghiero Bonghi di Lucera un concorso gastronomico che si distingue dagli altri per la particolarità delle materie prime impiegate. Verrà premiato il miglior piatto (a tema libero, freddo o caldo, innovativo o di tradizione) realizzato utilizzando cereali antichi e leguminose a rischio estinzione. Il rotolare del mondo ispira in molti la nostalgia del passato. Anche a tavola. Nessuno trent’anni fa avrebbe immaginato il ritorno di frumenti e leguminose primordiali. La Puglia è ricca di questi prodotti, come il cece nero, la cicerchia, il pisello riccio, il farro… Occupiamoci di quest’ultimo, che da noi viene prodotto da imprese attive sull’alta Murgia fra Altamura e Gravina e nelle tre varianti : piccolo, integrale e perlato. Prima che il grano duro si imponesse come elemento essenziale per la produzione del pane, il farro – detto anche ‘grano vestito’ – costituiva l’alimento base dei popoli dell’età dei Metalli. Lo conferma Plinio il Vecchio nel suo ‘Naturalis Historia’ : “Il farro fu il primo cibo dell’antico Lazio”. Il farro andava prima arrostito, quindi pestato, liberato con un setaccio del vestimento e infine fatto bollire in acqua salata. Solo così i padri latini potevano ricavarne una farinata (pulmentum) che si traduceva in impasti utili a produrre focacce, cibo tipico della civiltà romana, un po’ come gli spaghetti e la pasta in genere identificano l’Italia nel mondo. Il pulmentum poteva essere arricchito con verdure, legumi e anche formaggio fresco, miele, uova. Sino al termine dell’Impero il farro fu alla base dell’alimentazione del soldato romano, ognuno dei quali riceveva periodicamente, insieme a un a certa misura di sale, un cinque-sei chili di farro. Il legionario, quindi, doveva procurarsi due pietre lisce (i più se le erano già procurate all’atto della partenza) tra cui sfregare il farro – previa arrostitura – decorticarlo, impastarlo… Le focacce così ottenute a sera al fuoco dei bivacchi venivano stivate in sacchetti da cui il legionario attingeva nella pause di marcia o di battaglia (nella stessa sacchetta trovavano posto gli altri pochi cibi che era possibile sgranocchiare : noci, mandorle, fichi secchi, ceci arrostiti….). L’importanza del farro ai tempi di Roma è testimoniata dal fatto che un’antica forma di matrimonio era detta ‘confarreatio’ poiché gli sposi suggellavano l’atto giuridico consumando una focaccina di farro. Più avanti la ridotta capacità del farro di competere con il grano ne segnò il lento declino. Ma con le carestie che divennero la regola col declino dell’Impero e le prime invasioni barbariche, il farro con altri cerali minori tornò in auge. Le ultime testimonianze di produzione di farro in Italia risalgono alla fine dell’Ottocento e limitatamente ad aree assai ristrette. E ora ecco il farro uscire dall’oblio tra i consensi dei nutrizionisti. Sono molti i vantaggi arrecati alla salute da questo alimento dall’elevato contenuto proteico, povero di grassi, ricco di vitamine e sali minerali, ideale per zuppe, minestre, insalate e primi piatti. Non esistono controindicazioni al consumo di farro a meno che non si soffra d’intolleranza al glutine, di cui questo cerale è ricco.
Italo Interesse
Pubblicato il 27 Maggio 2023