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“Abbiamo il diritto di lavorare come tutti gli altri”

#IoApro è questo l’hashtag riportato nelle locandine che il giorno 7 aprile verranno affisse sulle vetrine dei negozi di Bari e provincia, stremati dalle chiusure previste dall’ultimo DPCM per contrastare i contagi da Covid-19. Com’è noto infatti gioiellerie, parrucchieri-centri estetici, palestre e negozi di abbigliamento-calzature devono rimanere chiusi, dando il colpo di grazia a queste piccole imprese già precedentemente spinte sull’orlo del fallimento durante la prima e la seconda ondata dell’epidemia. Ma i commercianti dei settori interessati dalle chiusure in questo periodo non ci stanno a veder crollare le proprie attività senza poter far nulla per impedire che ciò accada, quindi il 7 aprile hanno deciso di riaprire in sicurezza e di lavorare per dimostrare che con o senza le riaperture di determinate categorie commerciali la situazione epidemiologica non cambia granché, mentre quella economica si. Perché non bisogna dimenticare che dietro ogni attività commerciale ci sono famiglie che devono sopravvivere e gli aiuti previsti dallo Stato non bastano. “Mentre noi siamo chiusi, tutto il mondo fuori si muove come sempre” spiegano alcuni commercianti che hanno aderito a questa iniziativa, ideata dall’associazione “La Formica”, per denunciare la condizione delle partite Iva e dei piccoli imprenditori indebitati per centinaia di migliaia di euro. “Fateci lavorare per sopravvivere – chiede Pino Gelato del negozio di calzature Lamuraglia – proprio in questi giorni ho dovuto pagare il saldo dell’IVA facendo fronte ai miei risparmi ed ora non ho più nulla per poter affrontare i mesi che verranno. Ho duecento mila euro di roba stagionale in magazzino – prosegue – e se non riuscirò a venderla, a fine stagione sarò costretto a chiudere definitivamente l’attività. Lo Stato non ci sta aiutando, non è nostro alleato e si comporta solo come un esattore. I fondi promessi dal Comune non li abbiamo ancora visti quindi – conclude – in tale situazione di emergenza totale non ci resta che riaprire in sicurezza oppure chiudere per sempre un’attività di calzature che esiste da tre generazioni”. Effettivamente, riuscire a capire il senso della chiusura per settori è cosa ardua anche per Domenico Pesola titolare di Pesola preziosi: “O si blocca tutto – spiega – oppure queste limitazioni servono solo a peggiorare la nostra situazione economica. Se esistono delle regole devono essere valide per chiunque – prosegue – non possono essere penalizzate solo alcune categorie. Chiediamo al Sindaco maggiori controlli per garantire il rispetto delle norme anti Covid-19 da parte di tutti altrimenti noi continueremo a rimanere chiusi mentre fuori la vita continua. Il mio settore è piegato dalla crisi -conclude- e dopo due anni di fatturato pari a zero dubito purtroppo di riuscire a recuperare la mia attività. Il problema sarà cosa fare dopo per vivere”. Il settore dell’estetica non se la passa meglio: “Questa manifestazione contro le chiusure nasce per denunciare la pessima gestione della pandemia da parte delle istituzioni a tutti i livelli che, di fatto, hanno distrutto il tessuto produttivo del nostro Paese, costituito dalle piccole e medie imprese – denuncia Onofrio De Giglio titolare del centro estetico Coccoon in zona San Pasquale – noi commercianti di Bari  non vogliamo soldi (anche perché sappiamo bene che non ce ne sono) quindi – prosegue – prima di abbassare definitivamente le nostre saracinesche abbiamo pensato, nel nostro piccolo, di  manifestare a Bari e provincia perché siamo stanchi di pagare fitti, bollette senza poter lavorare in sicurezza. Nessuno parla della nostra situazione economica disastrosa – conclude – se non moriamo di Covid moriremo di fame. Ora basta!”. Mimmo Tarantini, presidente dell’Associazione di commercianti “La Formica”, con una nota fa sapere che “La manifestazione sarà assolutamente pacifica e si svolgerà con l’apertura, in sicurezza, delle attività commerciali a partire da mercoledì 7 aprile. Il messaggio che vogliamo lanciare è che i commercianti non vogliono dei contributi ma hanno bisogno di lavorare perché – spiega – per far fronte alle spese delle attività non si riesce più ad assicurare un pasto ai propri figli. La chiusura dei nostri negozi – prosegue – rappresenterebbe la morte per Bari, una città che nella sua storia millenaria, ha sempre vissuto di commercio. La domanda che vorrei fare a chi ci governa – conclude – è questa: secondo quale criterio è possibile stabilire che in questo momento sia più opportuno dare la possibilità alla gente di comprare un profumo piuttosto che un paio di scarpe?”

 

Maria Giovanna Depalma


Pubblicato il 1 Aprile 2021

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