Cultura e Spettacoli

Admeto, marito fortunato

Lo chiamano ‘castello’ benché di mezzo sia alcun maniero. Quello d’Alceste è un modesto rilievo del territorio di San Vito dei Normanni che non supera i 120 metri. Dalla sua sommità lo sguardo può spaziare a 360° (si possono scorgere Oria, Mesagne, Ostuni, Carovigno e Ceglie Messapica); un aspetto delle cose, questo, che se oggi presenta un significato solo paesaggistico, nel passato precristiano ebbe ben altro valore. Per primitivi stanziali in una terra avara di rilievi come è il basso Salento insediarsi in vetta ad un colle seppure modesto significava avere maggiori probabilità di sopravvivenza. Non fa perciò meraviglia che in cima a Castello d’Alceste sia stata scoperta nel 1985 un’area archeologica risalente all’VIII secolo avanti Cristo. Si tratta di un villaggio di capanne esteso su una superficie di 23 ettari e racchiusa da un doppio anello in pietra a secco. A tali rovine risultano sovrapposte tracce di altro abitato risalente al VI secolo a. C. Il nuovo abitato presenta case articolate in più ambienti e dai tetti in tegole e strade pavimentate con cocci sminuzzati, tutte convergenti verso una grande piazza che si apriva in cima alla collinetta. Il passaggio da un pensiero insediativo arcaico ad uno più evoluto segnala un cambiamento sociale di vasta portata. Tanto scarto evolutivo non è però giustificabile nel giro di appena due secoli. In altre parole, è improbabile che gli stessi primi abitatori, evolvendo, abbiano dato vita ad un nuovo e superiore ciclo di vita sociale. E’ dunque credibile che i secondi abitatori appartenessero ad una stirpe diversa. Altrettanto credibile ci pare che costoro, invece di occupare un insediamento abbandonato, lo abbiano conquistato con la forza e poi demolito per riedificarlo secondo criteri consoni ad una popolazione più evoluta. Era gente venuta da lontano, magari dall’Illiria, e che con le armi ebbe ragione di una primitiva e debole tribù autoctona? Se così, si trattò dei primi Messapi, popolo bellicoso che lasciò un segno profondo nel Salento. Ma presto anche i fieri Messapi dovettero chinare il capo. L’insediamento di Castello d’Alceste rivela tracce di distruzione violenta. Ora, siccome queste tracce risalgono al V secolo a. C., si può ricollegare l’evento alle lotte che in quel periodo opponevano i Greci di Taranto alle popolazioni messapiche. Lotte sanguinosissime, di cui parla anche Erodoto, e che toccarono l’apice col famoso sacco di Carbina, l’attuale e – guarda caso – vicinissima Carovigno. Infine un interrogativo: ‘Alceste’ è corruzione popolare di ‘Alcesti’, nome di un personaggio della mitologia greca? Il sospetto è suggerito dai richiami del remotissimo passato di questo sito archeologico. La storia di Alcesti è appassionante e merita una digressione. Era costei la moglie di Admeto, un principe della Tessaglia, col quale Apollo aveva un debito di riconoscenza. Il Dio ricompensò il principe ottenendo dalle Moire che quando fosse giunto per Admeto il momento di morire, egli sarebbe stato salvato se un’altra persona avesse accettato di sostituirlo. Giunse infine quel momento : Admeto giaceva gravemente ammalato nel suo letto. Siccome nessuno pensava a prendere il suo posto sulla barca di Caronte, Alcesti, generosamente, si offrì. Più avanti, ancora in lutto, Admeto ospitò Eracle, cui narrò il suo dramma. Commosso dalla storia e grato dell’ospitalità, Eracle scese negli inferi e riportò Alcesti al suo sposo. – Nell’immagine l’addio fra Alcesti e Admeto in una riproduzione ad opera di George Dennis dall’originale pittura vascolare ritrovata a Vulci.

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 5 Ottobre 2021

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