Cultura e Spettacoli

Ah, Medea, peggio di così…

Una sala d’aspetto, una carrozza ferroviaria o la fermata di un bus sono luoghi grigi. Ma possono accendersi di colore se, anziché attendere in silenzio, la gente conversa. Questo colore, poi, si fa più intenso a misura che la conversazione si spinge oltre il bisogno di scacciare la noia e scende in profondità, schiude le porte alla conoscenza personale. Quelli che hanno bisogno di aprirsi non si lasciano scappare queste occasioni. Anche a costo di mostrarsi invadenti, si ‘impadroniscono’ di un ascoltatore, anche due, meglio se tutti, e vuotano il sacco. Un’esperienza che si rivela sen’altro insostenibile quando s’incappa nell’egocentrico logorroico, mentre si mantiene nella malinconia se si ha a che dare con persone sole. La stessa esperienza può diventare lacerante in presenza di casi umani spinti all’estremo. Certe lacerazioni sono preziose. Perché insegnano a capire che il mondo continua oltre la porta di casa, il posto di lavoro, la cerchia di parenti e amici. Ovvero insegnano che al di là del proprio habitat si agita un’umanità vastissima e per lo più sofferente e al cui dolore non si può restare indifferenti, specie se di tale dolore si è responsabili, anche in modo indiretto. Nasce da queste considerazioni l’urgenza di un originale progetto, umano in primo luogo e teatrale in subordine, prodotto da Teatro dei Borgia e in questi giorni in scena a Bari : ‘Medea per strada’. Lo ‘spettacolo’, ideato e diretto da Gianpiero Borgia, scritto da Fabrizio Sinisi ed Elena Cotugno e da quest’ultima interpretato, è trasposizione moderna del mito della sciaguratissima maga della Colchide : Una ragazza rumena arriva in Italia nella prospettiva di un lavoro onesto e invece si ritrova sul marciapiede a rimorchiare clienti. Ma si consola, il suo uomo, cioè il pappa, è uno ‘buono’, che la protegge, e poi è il padre dei suoi due bambini, col suo operato concorre al benessere della famiglia. Che vuoi di più? Ma  gli uomini sono tutti uguali. Quando la ragazza scopre che lui ha un’altra e vuole persino sposarla, allora il sangue di Medea si risveglia e comincia a bollire. Il resto va da sé. Come si raccontano certe cose a teatro? Un cono di luce calato su un’interprete avvolta dal vuoto e dal buio non è più cosa inusuale. Allora, ecco l’idea :  sette fortunati spettatori ficcati come passeggeri dentro un furgone-pulmino, a bordo del quale a un dato momento della corsa sale una ragazza ‘vistosa’. La tipa, il cui accento rivela la provenienza da est, attacca subito bottone. Quasi nessuno ha voglia di parlare, ma tutti hanno voglia di ascoltare questa ragazza che ha tutta l’aria di nascondere una storia molto interessante. E così mentre lo sgangherato mezzo, per metà allestito come un’alcova da sesso mordi e fuggi, e mentre oltre i finestrini scorre anonima una città che può essere Bari come Sondrio, Siracusa o Udine, una donna giovane e bella si racconta. Racconta indirettamente di un Occidente ipocrita e vorace (non solo di sesso). Un racconto inizialmente gaio. La ragazza senza nome ha uscite divertenti, certe volte è buffa. Il silenzio attento degli astanti la invoglia, la induce a entrare in confidenza. Poco a poco si libera degli abiti, svela il look da battona e il racconto comincia ad incupirsi. Una storia senza età : buoni e cattivi, furbi e gonzi, fortunati e non… In mezzo, un popolo di clienti anonimi ed allupati, correi nell’esistenza in vita di un meccanismo orrendo. E intanto il furgone che non si ferma, che macina chilometri, proprio come quegli altri furgoni che quotidianamente ai quattro angoli del Belpaese scarrozzano sventurate dell’est, dell’Africa e dell’America latina che poi scaricano sul ciglio di una strada, come operaie davanti ad uno stabilimento. Oltre i finestrini è ancora una città qualunque. Quando la cronaca della tragedia giunge all’epilogo, si chiude anche il viaggio della ragazza. Sgarbatamente come è salita, scende. Sparisce. Dove sarà andata, chi era?… E noi, chi siamo?…In un silenzio imbarazzato il pulmino torna al punto di partenza, lo stesso angolo del Petruzzelli dove un’ora prima ha caricato quel micro pubblico. Si scende e si fa fatica ognuno a prendere la via di casa…. Elena Cotugno strappa il cuore. Una messinscena che viene addosso con la grazia di una nerbata, una cosa che non si dimentica e tanto più apprezzabile per il fatto d’inserirsi nel contesto di un percorso di volontariato che la stessa Cotugno tuttora prosegue a fianco di assistenti sociali e associazioni che si occupano dell’assistenza in strada e del tentativo di recupero delle schiave del sesso.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 23 Febbraio 2018

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