Cultura e Spettacoli

Al Teatro Palazzo Equilibrismo e Grandezza

Quanta audacia Gabriele Paolocà e Michele Altamura, ovvero VicoQuartoMazzini : far riscrivere per il teatro (da Francesco D’Amore) ‘I fratelli Karamazov’ e affidare il testo al cast più inatteso, il quartetto Pignataro-Schiavarelli-Marmone-Sinisi. Un allestimento, questo ‘Karamazov’, destinato a dividere e a restare nella memoria, almeno locale. Perché non è cosa di tutti i giorni un Karamazov riletto come un giallo e messo a disposizione di professionisti non accademici e a ‘trazione’ popolare. L’effetto è un po’ stralunato : gli interpreti sembrano sottilmente stupiti di sé stessi. Parlano, litigano, si accusano. Sono divisi. Ma qualcosa li accomuna : La strisciante consapevolezza d’essere divenuti estranei a sé stessi. Sono questi il mio corpo e la mia voce, mi appartengono questi gesti? Sembrano dirsi in un muto fumetto sospeso sul capo. E dove sono?… E’ un-non luogo quello in cui si muovono. Un ‘dove’ che ispira l’idea di una bolla dello spazio-tempo. Bolla nella quale non si percepisce odore di vita. L’unico sentore è quello della fine : il grande patriarca non è più da trentacinque anni, un fratello non riconosciuto sta spirando in un’altra stanza. E si gioca alla roulette russa. Che in ‘realtà’ siano tutti morti?… Forse storditi dal ritrovarsi nell’Altrove, i fratelli cercano appigli al pensiero, perciò si affannano – drammatizzando – a ricostruire il comune, sofferto passato. La conclusione, cioè la risoluzione del ‘giallo-Karamazov riscritto da D’Amore, è quella giusta ? I protagonisti vi pervengono con una perplessità che dà più di puntini sospesi che di punti esclamativi. Accentuano questo senso di freddo, d’incerto e di stranito le scelte scenografiche, il disegno luci (di Vincent Longuemare) e la visual art di Raffaele Fiorella. Quanto alla grande scommessa del quartetto, l’impressione ricevuta è stata quella di un cast curioso della gran novità e attento, prudente come un equilibrista (non ci si misura facilmente con la Grandezza). Non era (ne diventerà mai) facile coniugare spontaneità da quartiere ultra popolare con i grandi temi del pensiero dostoevskijano e – ancora meno facile – conferire un tocco  (leggerissimo) di baresità tenendo a freno l’istinto. In questo, la coppia Marmone-Schiavarelli ha offerto un esempio di disciplina migliore di quello offerto da Pignataro e Sinisi, i quali in più di un’occasione sono stati vicini (parliamo della replica di venerdì scorso al Teatro Palazzo) a schiudere l’uscio di servizio alla vis comica per cui sono celebri. Limite che non ci sentiamo di condannare poiché questo comunque contenuto scalpitare, se non altro, ha regalato qualche sorriso all’interno di un lavoro dal colore plumbeo. – Nell’immagine un ritratto di Dostoevskij eseguito nel 1872 da Vasilij Grigor’evic Perv ; tecnica : olio su tela ; collocazione : Galleria Tert’jakov – Mosca.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 17 Aprile 2019

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