Allasse ca so’ de Bbare!
Domenica scorsa lungo un arenile del brindisino, a pochi centimetri di profondità, un magnifico esemplare di Pilumnus hirtellatus deponeva uova. I pochi bagnanti si fermavano incantati ad osservare il colore rossiccio del carapace di questo granchio detto ‘peloso’ per via delle setole giallo-bruno di cui è ricoperto. Comune in tutto il Mediterraneo, la ‘pelosa’, a differenza del comune granchio, è praticamente scomparsa dal litorale barese. Questa simpatica creatura dalle chele asimmetriche e che si nutre in prevalenza di alghe non disdegnando carcasse di pesci, è per tradizione nostrana il valore aggiunto delle zuppe di pesce ; i buongustai raccomandano pure fettucce, linguine o spaghetti conditi col sugo di pelosa. Adesso per trovare un chilo di pelose bisogna allontanarsi di almeno cinquanta chilometri da Bari, quando ancora negli anni cinquanta questo crostaceo era catturato a piene mani persino dai bambini tra gli scogli del lungomare Nazario Sauro. La facilità della cattura e l’abbondanza della specie consentivano una caccia indiscriminata (e dire che a Shangai esistono per strada distributori automatici di granchi pelosi vivi!). Specie per i monelli andare a caccia di pelose era quasi un rito d’iniziazione alla vita adulta. Ricorda Gigi De Santis che il rituale del giovanissimo cacciatore cominciava con lo strappare un pelo alle code dei cavalli delle carrozze o dei carri in sosta rischiando qualche scapaccione da parte di fiaccherai e carrettieri. Col crine ripiegato a nodo scorsoio si realizzava il cappio. A questo punto ci si recava al mercato del pesce a procurarsi l’esca : branchie e interiora di pesce. Una volta attaccata a un bastoncino l’esca e tenendo questa vicino al cappio, si poteva frugare fra gli scogli. Quando la pelosa abboccava, andava afferrata dalla parte inferiore del carapace e messa al sicuro dentro un calzino. Ma attenzione, il Pilumnus hirtellatus è animale rapido, combattivo e anche temibile per via delle sue chele. Guai all’incauto che per un movimento maldestro offra un dito alla presa potente delle chele. A cercare di liberarsi con la forza si rischia si rafforzare la presa, di far affondare la ‘pinza’ nella ferita ; l’unica in questi casi è scuotere violentemente la mano contro uno scoglio provocando la morte dell’animale. Ma i bambini della Bari che fu, proprio perché più di tutti vedevano nella sfida alla pelosa una prova di coraggio, usavano sopportare stoicamente il dolore pronunciando le ‘parole terchìne’ (parole turche), una formula di scongiuro sulla cui remota origine sarebbe interessante indagare : Allasse ca so’ de Bbare…’ (lascia, ‘ché sono di Bari…). Sembra che funzionasse.
Italo Interesse
Pubblicato il 17 Ottobre 2014