Allelujah, è il Dies Irae!
C’è delle volte in cui alzare bandiera bianca è tentazione forte. Ma questo benedetto ‘dovere di cronaca’ ci inchioda alla necessità di partecipare in qualche modo al lettore anche ciò che più sfugge. Domenica sera al Kismet era in cartellone “Dies Irae, cinque episodi intorno alla fine della specie”, un testo di Daniele Villa messo in scena da Teatro Sotterraneo. Questo ‘dittico sulla specie’ tratteggia fra le righe l’inafferrabilità del tempo, la beffa del presente e quella del passato, del futuro. All’interno di questo racconto prende corpo un affresco demenziale e caustico – dove ricorrono alcune dalle tante cover dell’Allelujah di Leonard Cohen – che ha per oggetto la stupidità e l’impotenza dell’uomo contemporaneo. Per fare questo i bravi Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri frangono lo spettacolo in un limitato numero di quadri ; numero che promette di raddoppiare, triplicare chissà, visto che in sottotitolo lo spettacolo segnala : ‘Parte 1’. Allestito in modo assai scarno, ma ricco di piccole invenzioni, Dies Irae – dicevamo – mal si presta ad essere raccontato. Possiamo dire di uno spettacolo anche spassoso, dove però la risata nasconde un retrogusto amaro. Si prenda la gag (Villa e compagni vogliano farci passare il termine) della fotografia. Questo reciproco, insistente, reciproco fotografarsi – e con la pretesa di fermare anche i sentimenti – non suona come un colpo di scudiscio all’impudenza dell’immagine che tanto ci assilla? Non meno sferzante la quarta ‘stazione dove una contro-asta (nel senso che da un prezzo altissimo si scende via via a prezzi da bancarella) assegna al minor offerente tra gli spettatori la possibilità di portare a casa – debitamente imbustati – i resti polverosi delle nuove sette meraviglie del mondo ; ci pare il caso di ricordare che la scelta delle nuove sette meraviglie del mondo avvenne a Lisbona quattro anni fa per iniziativa della (maliziosa) società NOWC attraverso un complesso meccanismo di voto che poteva avvenire, a pagamento, via telefono o Internet. Meno decifrabile, almeno sul significato dell’inafferrabilità del tempo, non su quello della critica alla ferocia del nostro presente, ci è tornato il primo episodio. Si immaginino quattro personaggi paludati di bianco in stile tecnici da zona contaminata e all’opera tra una pavimentazione e un fondale altrettanto immacolati. Su tanto candore zampillo rosso sangue erogato da spruzzatori in mezzo a gesti che evocano colpi di fucile, di mannaia, di coltello, di motosega… Un delirio granguignolesco che sa di fumetto, di disegno animato, di cinema splatter, di informazione trash… Dies Irae è De profundis di una specie (quella umana) incaponita nel mito della propria immortalità. In realtà, dice Villa, “abbiamo sempre seguito delle tracce e non potremo non lasciarne di nuove. Ognuno viva e canti il suo tempo e poi torni alla polvere. Alleluja”.
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Pubblicato il 3 Marzo 2011