Cronaca

Amalia: “Non mi lasciano morire…”

Ancora barbiturici e un ultimo gesto di disperazione per una donna che, dopo essere stata sfrattata dal suo alloggio nel quartiere madonnella, da anni lotta per il diritto alla casa. Qualche mese f Amalia Soloperto, 54 anni, un marito e due figli (tra i quali uno sposato con figli) disoccupati a carico, ricevette una sistemazione provvisoria grazie all’intervento delle amministrazioni locali che promisero: “Ti daremo una vera casa al più presto”. Ora giace in un letto d’ospedale al Policlinico di Bari. “Non voglio lasciarmi morire”, ha confessato ai giornalisti riferendosi all’intervento dei sanitari: la casa tanto promessa, non è mai arrivata. Il Sindaco e gli amministratori pubblici – primo fra tutti lo stesso Direttore Generale al Comune di Bari, Vito Leccese, incaricato dal Sindaco di occuparsi della vicenda – hanno chiuso i telefoni alle chiamate della povera donna in cerca di aiuto e risposte dalla sala rossa del Policlinico di Bari, dove è ricoverata grazie al pronto intervento di famigliari e sanitari. “Mi hanno salvata… ma non avrebbero dovuto!!. Il primo tentativo di suicidio era avvenuto circa un anno fa, quando Amalia Soloperto cercava di porre fine ai disagi di una vita senza dimora, ingerendo un ingente quantitativo di barbiturici e tentando di gettarsi dal balcone di una casa che non aveva più il diritto di abitare. La risonanza dell’avvenimento sui media locali fece da catalizzatore al programma televisivo di RAI News 24, “Chance” (programma che non andò mai in onda). La RAI decise di realizzare una puntata sul caso. Grazie alla capacità persuasiva della televisione, la donna ottenne un alloggio provvisorio in quel di Bari Vecchia; la casa era però in condizioni non adatte ad ospitarla: perdeva acqua dai pavimenti e dalle mura, non aveva riscaldamento e corrente. Soffrendo di problemi cardiaci e polmonari, in grave stato di instabilità psicologica (la donna soffre di depressione), Amalia fu costretta a passare le notti in casa del figlio ventisettenne disoccupato, un’abitazione popolare di 60 mq, abusiva, in cui vivono in tutto ben 7 persone. Le istituzioni risposero alle necessità di Amalia con una promessa: una nuova casa al più presto. Per bocca del direttore generale, Vito Leccese, il Comune si impegnò a fornire alla donna un alloggio che fosse più vivibile; solo i tempi erano incerti. Per anni in cura dallo psichiatra, due figli e due nipotini a carico, un marito disoccupato, ex tossicodipendente con precedenti penali, la tenacia di questa donna non è bastata a sostenere una così grave situazione. “Quando capita faccio le pulizie presso un privato, guadagno circa 25 euro la settimana – ha raccontato ai giornalisti – Per il cibo sono costretta ad affidarmi alla carità di un gruppo di volontari”. La storia di Amalia è quella di una donna come tante altre, nella Bari invisibile agli sguardi della borghesia. “Ho fatto da operaia in varie aziende conciarie; poi la crisi di questo settore mi ha costretto a cambiare strada…”. Così iniziò la sua avventura nel mondo del telemarket, progenitore degli odierni call center. “È andata bene fino al 2009, avevo un’azienda di promozione commerciale tutta mia; poi il baratro”. Tre anni di sacrifici e privazioni. “È difficile guardare negli occhi i propri figli e non cogliervi la speranza di un futuro migliore”. All’improvviso, “qualcuno lassù deve aver avuto pietà di me!”. La RAI vuole fare della sua storia una puntata di un programma televisivo, dicono andrà in onda “sul digitale”; garantiti ascolti da record. L’ombretto su quegli occhi graffiati dalle lacrime, dopo tanto tempo il parrucchiere. Le raccomandazioni dei giornalisti, tante promesse… una casa finalmente! Ma la vita è beffarda, crudele alle volte. L’alloggio che la RAI riesce a farle ottenere è in condizioni non adatte a ospitare una donna che soffre di così gravi patologie. “E poi ci sono i miei figli e i nipoti, dove li metto in un posto simile?”. Finalmente ottenuta una casa, non sa cosa farsene. Senza forze in un letto d’ospedale, un filo di voce basta solo per un ultimo appello: “Vi prego, datemi una casa dignitosa in cui vivere”.

Mirko Misceo


Pubblicato il 5 Febbraio 2013

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