Cultura e Spettacoli

Amore e Psiche, partitura per gesto e voce

Continuano a chiamarlo Maggio all’Infanzia. Dovrebbero intitolarlo diversamente questo prezioso festival primaverile, visto che il suo pubblico è adulto all’80%. E non  è questione di scarsa natalità. Stufi di teatro tirato per i capelli e di un presente arido  che strangola l’infanzia nella culla, i ‘grandi’ manifestano un bisogno prepotente di autenticità, di ritorno alle origini. E siccome in media si produce meglio per bimbi e ragazzi che non per il segmento ‘post-puberale’, ecco un Maggio all’Infanzia 2014 più di ieri raccogliere  attorno a un pugno di piccoli, un popolo di genitori, nonni, zii, coppie senza figli, single… Dal canto loro i commediografi, cui il fenomeno in atto non può essere sfuggito, con tollerabile malizia si applicano a testi che strizzano l’occhio alla platea meno verde. Esemplare da questo punto di vista lo spettacolo portato in scena da una strepitosa Daria Paoletta sabato scorso al Kismet. ‘Amore e Psiche’, questa produzione Burambò, prende il racconto accreditato ad Apuleio ma la cui origine è forse da cercare nella tradizione orale berbera, e lo ripropone nelle forme del più rigoroso teatro di narrazione. Opportunamente venata di ‘nostrano’ ma immune da cadenze che consentano una esplicita collocazione a Mezzogiorno, la storia di Amore e Psiche sembra volgere le spalle ad Apuleio per guardare a Basile. Così, la vicenda di una fanciulla meravigliosa, vittima di una coppia di sorelle invidiose e costretta a vedersela con una coppia di divinità non meno meschine (Venere ed Eros), evolve in ‘cunto’. Non si cerchino qui atmosfere da cantastorie o da bardo, bensì da focolare. Si pensi perciò ad un camino entro cui scoppiettando ardano ciocchi e a un semicerchio di bambini a naso in su, le bocche socchiuse, gli occhi sgranati, le orecchie ritte. A catturarli è il dire facondo di una Madre senza età, un dire che l’onomatopea, l’estro e il senso perfetto del tempo rendono irresistibile. Senza il sostegno di musiche, appena supportata da uno scarno disegno luci, la Paoletta si affida molto al gesto. Le sue mani e le sue lunghe candide braccia, uniche parti del corpo lasciate scoperte insieme al viso dal severo e bruno abito di scena, disegnano un movimento che ha del coreutico e nel quale prendono forma ora il palazzo di Eros, ora l’Ade, aspri picchi montani, prati ove pascolano pecore dal vello d’oro… Il resto lo fanno una repentina mutevolezza timbrica e un carisma scenico, una vis affabulante di prim’ordine. Vibrante al termine il consenso del pubblico, già testimoniato nel corso della messinscena da ripetuti applausi (costume rarissimo al Kismet).

Italo Interesse

 


Pubblicato il 21 Maggio 2014

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