Cultura e Spettacoli

Anche gli antichi inquinavano

Anche i bambini di Taranto vogliono vivere. E’ il recente grido di guerra di genitori straziati dal fatto che i loro piccoli “si ammalano di più ma non si possono curare”. Il caso Ilva, che nella storia dell’inquinamento del Belpaese è secondo solo alla catastrofe avvenuta a Seveso nel 1974, è evoluto in Puglia a emblema della dissennata condotta umana nei confronti dell’ambiente. Il che ispira a molti l’idea che certe cose, tipicamente moderne (e tale ‘modernità’ la facciamo partire dal boom economico) fossero in passato inconcepibili. Quasi che fino agli cinquanta, si vivesse in una sorta di età dell’oro, per cui si poteva cucinare la pasta con l’acqua di mare, consumare un frutto colto dall’albero senza doverlo sbucciare e respirare ovunque aria pulita. Nulla di più falso. I nostri padri inquinavano e come. I mattatoi riversano il sangue in qualche buca scavata nel terreno. I tintori abbandonavano dove capitava le sostanze chimiche esauste  Le cave abbandonate e le voragini naturali si riempivano di ogni genere di immondizia. Sulle strade gli escrementi lasciati dagli equini restavano sino a quando non si decomponevano. Le prime testimonianze fotografiche della civiltà industriale mostrano ciminiere da cui si sprigiona un fumo nero particolarmente denso e ‘sospetto’. Per di più questi stabilimenti non erano collocati lontano dai centri abitati. A Bari la Manifattura dei Tabacchi – entrata in funzione ai primi del Novecento – era attiva all’interno del più popoloso quartiere della città (e quando smise di funzionare, le sue mura continuarono a mandare un pesante tanfo per molti anni ancora). Restando al capoluogo, il nostro petrolchimico, la Stanic, durante il periodo di massima produzione (tra gli anni trenta e gli anni cinquanta) ha smaltito alla periferia dalla città una quantità impressionante di gas reflui senza che se ne sospettasse il pericolo. La Cementifera Fibronit cominciò ad intossicare l’area di Japigia già nel 1935, eppure si è cominciato a parlare di disastro solo negli anni ottanta. Nel 1943, dopo il rovinoso bombardamento ad opera della Luftwaffe, le bombe all’iprite rimaste inesplose sul fondo del porto furono caricate su zattere ad affondate a qualche miglio nautico da Bari. Di lì a qualche mese divennero frequenti i casi di intossicazione tra i pescatori nelle cui reti s’impigliavano quegli ordigni… Certo, queste cose avvenivano più per ignoranza che per autolesionismo e l’ecosistema era ancora in grado di assorbire aggressioni affatto massicce come invece oggi succede. In ogni caso esse confermano che l’antropizzazione, anche quando limitata, rimane dannosa.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 11 Febbraio 2016

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