Cultura e Spettacoli

Anche sui nostri litorali si affinò il ‘volgare’

“E’ da sempre che in tutte le provincie di Mangi si osserva una sola favella e una sola maniera di lettere e nondimeno vi è diversità nel parlare per le contrade come saria a dire Genovesi, Milanesi, Fiorentini e Pugliesi che ancor che parlino diversamente nondimeno si possono intendere”. E’ un passo del capitolo LXXVII del Libro II de ‘Il Milione’, opera unica e celebre di Marco Polo. Il grande viaggiatore veneziano qui conferma che l’italiano ‘volgare’ era realtà ben più diffusa di quanto facciano supporre gli scritti quasi ‘sperimentali’ di San Francesco o dei poeti della scuola siciliana, opere che risalgono rispettivamente ai primordi e alla metà del XIII secolo. Un ‘Cantico delle creature’ o un ‘Rosa fresca aulentissima’, primi eleganti passi di una lingua nuova, non avrebbero avuto fioritura senza che il ‘volgare’ fosse da lungo tempo una parlata comune nel Belpaese. A dirlo è un uomo di commercio, un frequentatore di ‘piazze’, perciò vicino alla gente minuta assai più di un animale da salotto, assai più di un letterato chiuso nella sua torre d’avorio, estraneo  al presente dell’uomo della strada. La testimonianza di Marco Polo, dettata a Rustichello da Pisa durante il periodo di detenzione a Genova,  risale alla fine del Trecento, tuttavia le convinzioni del Nostro risalgono al periodo di permanenza a Venezia prima di partire alla volta della Cina col padre. Periodo andato dal 1254 al 1271. E’ in questi diciassette anni passati tra gli uomini d’affari che frequentavano l’emporio dello zio che il giovane Marco prende consapevolezza di come in Italia anche genti lontanissime possano intendersi pur parlando “diversamente”. Se oggi da Bari si può raggiungere Genova in poche ore, alle soglie del Rinascimento servivano due settimane a vela, quattro a cavallo e otto a piedi. Ciò dilatava le distanze ben al di là dell’inalterato limite geografico. Ai tempi delle repubbliche marinare mercanti Genovesi e mercanti Pugliesi erano ‘lontani’ quanto oggi possono esserlo irlandesi e greci. Eppure non faticavano a capirsi, pur non rinunciando ciascuno all’idioma autoctono. E se non faticavano pur facendo ricorso a complesse formule verbali per definire contratti, clausole e postille, ciò significa che il volgare del tempo era lingua più matura di quanto le ‘incertezze’ letterarie del poverello d’Assisi o d’un Cielo d’Alcamo autorizzano a credere. L’uomo che entrò nella grazie di Kublai Kan cita (indirettamente) solo alcune città e una terra, ovvero le tre più grandi piazze d’Italia  – con la strana omissione di Venezia – e un serie di piccoli e ravvicinati empori  il cui ‘sistema’ faceva altrettanto ‘piazza’. L’insieme dei porti pugliesi valeva più dei non citati porti di Amalfi, Pisa, Palermo e Ancona? Evidentemente sì, parola di Messer Polo, gran maestro dell’arte mercantile. Se ne può concludere che nel suo piccolo la vivacità commerciale della Puglia portuale contribuì all’evoluzione della lingua italiana.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 22 Giugno 2013

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