Antonio Ligabue, l’inquietudine sublime del grande Maestro
Raccontata in una mostra al castello di Conversano
“Un bès… Dam un bès, uno solo! Che un giorno diventerà tutto splendido. Per me e per voi”. Nell’ingenuità di questa semplice frase tratta da un documentario realizzato nel 1962 è racchiusa la goffa e struggente dolcezza di un uomo sfortunato, che ha lottato per tutta la vita con gli aspetti più drammatici dell’esistenza, ma anche di un artista immenso, che ha saputo con il suo talento inimitabile, diventare un mito: Antonio Ligabue. Inaugurata Il 25 marzo e visitabile fino all’ 8 ottobre presso il castello di Conversano, una grande mostra dedicata a sessanta straordinarie sue opere che ne narrano il percorso esistenziale travagliato e la straordinaria capacità di trasformare in pittura le intense istanze emotive che caratterizzavano il suo animo. La mostra è stata organizzata dal Comune di Conversano in collaborazione con l’associazione culturale Arthemisia, azienda leader nella produzione, organizzazione e allestimento di mostre d’arte a livello nazionale, con sede a Roma e Milano, che si occupa da anni dell’organizzazione di eventi d’eccellenza, con il contributo della Regione Puglia e il patrocinio della città Metropolitana di Bari, di Pugliapromozione e del teatro pubblico pugliese, in collaborazione con la Fondazione Museo Antonio Ligabue curata da Francesco Negri e Francesca Villanti. Fortemente d’impatto e ad alto livello di coinvolgimento l’organizzazione e l’impostazione, comprensiva anche di proiezioni multimediali e di un allestimento ad hoc in grado di creare l’atmosfera giusta a trecentosessanta gradi, anche attraverso la presenza scenica di grandi animali finti posizionati al centro delle sale espositive, circondati dalle opere. Lo spettatore si sente così totalmente rapito dalla spontaneità e vividezza dei colori e delle espressioni del mondo animale, con la loro dolcezza o ferocia, coinvolto nella rappresentazione pittorica della lotta per l’esistenza che domina il mondo, la stessa che ha affascinato il pittore, e che ha ritratto in maniera spettacolare. Perfette anche le luci che valorizzano al massimo le opere esposte facendone cogliere addirittura la lucentezza della pittura ad olio originale.
Il percorso esistenziale di Antonio Ligabue fu dominato dalla solitudine e dall’emarginazione, riscattato unicamente da uno sconfinato talento per la pittura. Un uomo strambo, storto, dalle reazioni impulsive e indefinibili, espulso dalla Svizzera, luogo in cui era nato e cresciuto e dove era stato affidato a una famiglia di contadini, finì nel paese d’origine del suo padre biologico, Gualtieri, nella pianura emiliana delle parti di Reggio. Qui divenne, come si suol dire, lo scemo del villaggio, l’oggetto di scherno di adulti e ragazzi. Ma, accompagnato da un innato talento per l’arte, che lo avrebbe reso «un personaggio del Po», facendolo entrare in un documentario sulla bassa, e successivamente diventare famoso e ricco. Grandi leoni e tigri dallo sguardo aggressivo nel fuoco policromatico di paesaggi spettacolari, oppure falchi, galli o gatti ritratti nella consuetudine dei loro atti quotidiani, e in più moltissimi autoritratti che realizzò durante una vita, forse per lenire il dolore per quel senso di inadeguatezza che lo avrebbe sempre accompagnato. Fu un piccolo grande uomo sfortunato e folle, pieno stupore verso la vita e le leggi inesorabili della natura. Nato a Zurigo nel 1889 fin dall’adolescenza aveva manifestato alcuni problemi psichiatrici che lo portano, nel 1913, a un primo internamento presso un collegio per ragazzi affetti da disabilità.
Nel 1917 fu ricoverato in una clinica psichiatrica, dopo un’aggressione nei confronti della madre affidataria che, dopo varie vicissitudini, deciderà di denunciarlo ottenendone l’espulsione dalla Svizzera nel 1919 mandandolo a Gualtieri, il comune d’origine del patrigno.
Ligabue non parlava l’italiano, era scontroso e incline ad atti di collera. Veniva soprannominato “el Matt” dagli abitanti del paese che non comprendevano il valore dei suoi dipinti. Dopo anni inquieti di sofferenza e di vagabondaggio, in cui sopravvisse solo grazie a pochi sussidi pubblici rifugiandosi nell’arte per esprimere il suo disagio esistenziale, a cavallo tra il 1928 e il 1929 incontrò Renato Marino Mazzacurati (importante artista della Scuola Romana) che ne comprese il talento artistico e gli insegnò le tecniche per valorizzare al massimo la sua pittura. Così con uno slancio dal sapore squisitamente espressionista, Ligabue si dedicò alla rappresentazione della lotta per la sopravvivenza degli animali della foresta e realizzò centinaia di autoritratti, cogliendo quella particolare sofferenza che segnava i tratti del suo volto. Nel 1937 fu nuovamente ricoverato presso l’ospedale psichiatrico di San Lazzaro a Reggio Emilia per autolesionismo e per psicosi maniaco-depressiva. Nel 1948 cominciò ad esporre le sue opere ottenendo, sotto la guida di Mazzacurati, qualche riconoscimento e i primi guadagni. Dopo un breve periodo di benessere economico, nel 1962 a causa di una paresi fu ricoverato all’ospedale di Guastalla dove continuò a dipingere e dove si spense il 27 maggio del 1965.
Considerato tra i pittori più amati del Novecento, Antonio Ligabue ha trasmesso con singolare immediatezza e spontaneità emozioni comprensibili a chiunque sia in grado di percepire la bellezza dell’universo e della natura. Tutto il senso della sua arte viene raccontato magistralmente nella mostra al castello di Conversano. Uno dei più grandi omaggi fatti nella nostra epoca ad un grande artista che ha saputo scrivere il suo nome nel tempo grande della Storia.
Rossella Cea
Pubblicato il 2 Giugno 2023