Cronaca

Api di Puglia, la leggenda finita

Si ruba di tutto, oggi. Oltre uomini e cose, nemmeno gli animali non possono dirsi al sicuro. Alla regola non sfuggono gli insetti. Quanta meraviglia ha destato l’allarme lanciato dall’Associazione Regionale Apicoltori tre giorni fa : qui in Puglia dal 2012 ad oggi sono un cinquecento le arnie rubate fra Turi, Gioia, Santeramo, Castellaneta e Palagiano. Facciamo un salto indietro di trecento anni. Alla fine del Seicento, segnala nel suo ‘Per la storia dell’apicultura pugliese’ Vito Umberto Ciliberti, “il Principe Niccolò Caracciolo nel suo feudo di Torella impose per chi avesse rubato un’arnia cinque ducati di ammenda e due mesi di carcere ; più o meno la stessa sanzione si applicava per lo stesso reato in Lecce”. Ciò segnala due cose : quanto preziosi siano da sempre questi imenotteri (la cui progressiva e ormai globale moria per colpa di pesticidi e campi elettromagnetici potrebbe mettere fine all’umanità) e come l’apicultura in Puglia abbia radici antichi.  Nel IV Libro delle Georgiche Virgilio loda il miele tarantino ; nel Libro IV delle Odi Orazio si paragona all’ape del Gargano “che con assidua fatica va suggendo odorosi timi”. Il momento più alto l’apicultura pugliese lo toccò nella seconda metà del Settecento, come sostiene Antonio Maria Tannoja, un padre redentorista coratino, in ‘Delle api e del loro utile e maniera di ben governarle’. Il Tannoja, nel riconoscere la superiorità del miele salentino, segnala i maestri dell’apicultura tra la gente di Corato, Cerignola, Andria, Ruvo, Canosa e Minervino. Tuttavia l’utile maggiore che veniva dalle api di Puglia non consisteva nel miele bensì nella cera : “Massafra era celebre per la cera che vi si raccoglieva e che, al pari di quella di Alessano, per bianchezza e qualità non temeva il confronto con quelle di Cracovia. Le migliori candele venivano prodotte dalle fabbriche di Bari, Andria e Rutigliano e sopravanzavano di gran lunga per durata (a volte doppia), a parità di foggia e peso, quelle di Venezia. Purtroppo le frodi perpetrate dai ceraioli pugliesi finirono col far preferire il prodotto, se non peggiore, lavorato all’estero”. Ma come è stato possibile che tanta risorsa si spegnesse? L’Autore ritiene che “il colpo di grazia all’apicultura” vada ricercato nel “sistematico disboscamento praticato dai proprietari verso la fine dell’Ottocento” che distrusse gran parte dell’habitat delle api. E’ il caso delle grandi foreste che una volta ricoprivano la Murgia. Del bosco di Mellitto, per esempio, non è rimasto che il nome. Nome che deriva dal greco ‘mellitta’ (fabbricatore di miele), con chiaro riferimento all’ape dell’isola di Creta che secondo la leggenda nutrì del suo miele il piccolo Zeus. E sulle querce del bosco di Mellitto, si racconta, un tempo erano comuni grossi favi di api selvatiche…

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 25 Novembre 2013

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