Cultura e Spettacoli

Archeologia e reperti taroccati

Il miglioramento delle tecniche di intercettazione del lavoro dei tombaroli sta contrastando efficacemente il mercato clandestino dei reperti archeologici. Resta ugualmente alta la domanda di questo particolare tipo di bene da parte di comuni appassionati di antichità, solleticati dall’idea di ostentare un ‘pezzo’ nella vetrina del salotto di casa. Non disponendo delle necessarie competenze, costoro possono facilmente abboccare all’amo. Una volta su due, infatti, pagano – e neanche poco – ben riprodotti falsi. E se pure in un secondo momento dovessero nutrire sospetti, non avrebbero convenienza a rivolgersi alla Legge o ad allertare la stessa chiedendo l’opinione di un archeologo. Questa indiretta impunità spinge una nuova generazione di ‘artisti’ a mettersi al lavoro per sfornare reperti taroccati e che, poi, altre losche figure veicolano. Non si creda però che quest’altra truffa sia cosa recente. Al più, i mezzi messi a disposizione dalla tecnologia consentono riproduzioni assai più convincenti che in passato. E ‘passato’ vuol dire prima metà dell’Ottocento, quando l’entusiasmo per le grandi scoperte archeologiche superò i confini del mondo scientifico per finire sulle prime pagine dei quotidiani. Alcuni professionisti del falso ebbero addirittura notorietà. E’ il caso dell’inglese Flint Jack, il cui vero nome era E. Simpson, ‘specializzato’ nella fabbricazione di oggetti in selce e attivo tra il 1841 e il 1862 (fonte: E. Treccani). Questi capaci imbroglioni fecero anche vittime illustri : un archeologo che godeva della massima considerazione nell’ambiente scientifico, J. Boucher de Perthes,  nel 1863 prese per buoni strumenti litici e una mandibola umana spacciate per provenienti da una cava di Moulin-Quignon ad Abbeville,  in Francia. Si scoprì in un secondo momento che il presunto ‘patrimonio’, consistente in una mandibola trafugata da un cimitero e in comuni schegge di ossidiana, era stato dissotterrato per finta dagli operai che lavoravano nella stessa cava, ingolositi dalla  promessa di una ricompensa, fatta dallo stesso studioso, per chi avesse fornito elementi utili a dimostrare l’associazione tra animali estinti, resti umani e industria litica. Un falso ancora più clamoroso si registrò a Piltdown, in Inghilterra, negli anni precedenti la Grande Guerra: In una cava di ghiaia vennero ‘scoperti’ i resti di un cranio umano e di una mandibola dai caratteri scimmieschi i cui denti si presentavano limati in modo da far pensare all’usura tipica della masticazione dell’uomo. Tali reperti, associati a strumenti in selce e resti di animali estinti, condizionò gli studi sull’evoluzione dell’uomo fino agli anni Cinquanta.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 30 Aprile 2021

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