Cultura e Spettacoli

Astuzia di due soldati

Qualche giorno fa sul fondale di Capo San Vito, a due passi da Taranto, è stata rinvenuta una statuetta di fattura greca (IV secolo avanti Cristo), alta un’ottantina di centimetri e forse raffigurante Afrodite. La piccola scultura doveva appartenere ad un’imbarcazione andata a fondo col suo carico di merci. Quel naufragio conferma, ove mai ce ne fosse stato bisogno, la vivacità degli scambi anticamente in atto fra l’estremità levantina della penisola italiana e i grandi porti dell’Ellade. E’ estremamente difficile stabilire in quale anno quella nave andò a fondo. E’ tuttavia ragionevole individuare in che periodo dell’anno avvenne la disgrazia : tra la metà di marzo e la metà di novembre. Nei mesi invernali, infatti, le navi onerarie non sfidavano il mare, almeno con la navigazione d’altura. Al più, se il tempo era clemente, si avventuravano lungo rotte di piccolo cabotaggio, cioè restando con la costa a vista. I marinai meno audaci, poi, sfidavano l’alto mare in un periodo ancora più ristretto : tra agosto e settembre (previo consulto di un indovino). Essi si attenevano a quanto raccomandava Esiodo nel suo ‘Le opere e i giorni’, un poema didascalico della lunghezza di 828 esametri e scritti intorno all’VIII secolo avanti Cristo. In questo lavoro sono elencati consigli pratici per l’agricoltura ed altre attività, tra cui la navigazione. Rivolgendosi al navigante, Esiodo raccomanda : “Cinquanta giorni dopo il solstizio, quando volge al colmo l’estate spossante, questo è per i mortali il tempo per navigare […]. Quando i venti sono regolari e il mare sicuro, allora spingi in mare la nave veloce e affidala pure ai venti. Riponivi tutto il tuo carico e affrettati a tornare a casa prima che puoi. Non aspettare il vino nuovo, le piogge d’autunno”. Due mesi non erano molti, considerando che la velocità media delle navi onerarie superava a stento i due nodi. A cinquanta nodi al giorno per navigare dal Pireo (il porto di Atene) a Taranto servivano tre settimane. Ciò significava che una nave più di due viaggi all’anno non poteva fare. Di qui la necessità di rischiare allargando il periodo di navigazione anche alle stagioni intermedie. Cosa mandò a fondo la nave di cui in apertura? Certamente la furia degli elementi, che la fragilità dell’imbarcazione non poteva contrastare. Ma mettiamo in conto anche la presunzione di un armatore che volle sovraccaricare una nave o l’alea di uno scoglio sommerso (i fondali in prossimità delle coste erano un’incognita per tutte le navi). Così, una statua meravigliosa andò perduta. Fra qualche mese sapremo di più a proposito di quella scultura. Non sapremo mai, invece, se era davvero quella la statua destinata al misterioso committente tarantino… Diciamo questo perché ci torna in mente un fatterello occorso nei giorni dell’antica Roma ed emblematico di come andavano le cose in tempi in cui le prove documentali erano piuttosto modeste : Sul molo di Ostia due soldati stavano imbarcando un carico di statue, una delle quali recava intorno al collo il contrassegno del console a cui era destinata. Proprio questa, per colpa del peso o della stanchezza, sfuggì di mano agli improvvisati facchini e andò in mille pezzi. Che fare? Per non passare guai i due distolsero dal carico una statua di uguale peso, le misero al collo il contrassegno del console e la imbarcarono. Non se ne accorse nessuno.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 30 Gennaio 2017

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