Bari da due anni aspetta Bologna e ora potrebbe restare con un palmo di naso
Dovrebbero arrivare finalmente la prossima settimana, le risposte sulla fusione della Fiera del Levante di Bari con quella di Bologna. Sarà quest’ultima, infatti, a dover ratificare l’accordo nel corso dell’assemblea dei soci in agenda nei prossimi giorni, forse lunedì 24 o al massimo il venerdì successivo, scrivendo la parola fine sulla fusione delle due campionarie, dopo che per settimane e settimane – con particolare intensificazione a fine 2016 – si sono susseguiti gli incontri tra manager e rappresentanti delle due parti. E ciò che emerge da questo silenzio, secondo le voci più accreditate che si rincorrono tra Puglia ed Emilia Romagna, non inducono certamente all’ottimismo, nel senso che il matrimonio tra Fiera del Levante e Fiera di Bologna sembra destinato a non concludersi con un nulla di fatto a causa di promesse prematrimoniali, se così si può dire, mutate e infine svanite nel tempo. Troppi gli appuntamenti a vuoto per celebrare l’unione, saltati regolarmente per un motivo o per l’altro: prima dicembre 2016, poi gennaio 2017 e infine entro inizio di febbraio di quest’anno, ma corrispondenze, mail e pec si fermano sempre a metà strada, con un bel niente da segnalare. Le difficoltà maggiori, affermano i bene informati, arrivano dal capoluogo emiliano, entrato in crisi profonda dopo le prime avvisaglie dell’estate scorsa, problemi legati alla gestione del personale. Più o meno come a Bari, con i problemi infiniti collegati ai dipendenti ancora in servizio presso la Fiera del Levante di Bari: tra scadenze di contratti di solidarietà (nei prossimi tre mesi) e multisala megagalattiche che dovevano servire proprio a sfoltire parte del personale della fiera barese e che invece hanno praticamente alzato bandiera bianca, da via Tridente molti hanno perso le speranze di rilancio con l’accordo felsineo. E a primavera il numero dei dipendenti potrebbe daccapo attestarsi attorno alle sessanta e passa unità, vero spauracchio per chi ha intenzione di riavviare il discorso delle trattative sui binari Bari-Bologna. Ma come detto anche nel capoluogo emiliano il prezzo della crisi si sta facendo altissimo, messo nero su bianco dai vertici di Bologna Fiere e spedito sotto forma di redigendo piano industriale ai rappresentanti dei lavoratori. E c’è poco da discutere, visto e considerato che il piano industriale dell’expo bolognese entro il 2019 ipotizza di dimezzare le ore lavorative, passando dalle attuali 119mila a 66mila. È un taglio netto del 45% nel giro di un triennio, roba da far stramazzare al suolo anche una società solida e formata da tante società private di prestigio, com’è quella che controlla il pacchetto delle quote di Bologna Fiera. Insomma, per gestire manifestazioni ed eventi in futuro servirà quasi la metà del tempo e della forza lavoro rispetto a quella in servizio, quindi traballa visibilmente il costo del lavoro, come informano abbondantemente gli organi di stampa locali, a Bologna. Scatenando, inutile dirlo, la rabbia di chi già a settembre 2016 aveva usato le maniere forti per farsi ascoltare dai vertici che anche a Bologna, secondo le informazioni che rimbalzano da queste parti, punta tutto sui tagli di forza lavoro, per risparmiare. Insomma, il primo canale di spesa da alleggerire sarebbe strettamente collegato alla “riduzione delle ore necessarie alla gestione del quartiere”. E ci sarebbe già un elenco di sezioni nel piano industriale che permetteranno alle società che gestiscono la Fiera di Bologna di sfoltire i costi sostenuti: dalla cancellazione dei turni extra-manifestazioni per biglietterie e addetti agli ingressi fino all’eliminazione dei “nastri orari e differenziazione ore turni”. Un vero ‘cajeur de doleance’ che ha messo in allarme i sindacati, come detto, costringendoli a dissotterrare la scure di guerra, nonostante gli impegni e le promesse a turno del presidente regionale Emiliano e del primo cittadino barese che attendono tuttora gli eventi…col cappello in mano!
Francesco De Martino
Pubblicato il 22 Luglio 2017