“Non ancora si può vedere messo un freno ai conduttori di veicoli i quali scorrazzano liberamente e spesso a rompicollo senza curarsi punto dei pedoni”. Così esordiva il 5 ottobre 1871 una nota di cronaca di un periodico barese, ‘Il Cittadino’. I veicoli in questione erano quei mezzi di trasporto a trazione animale destinati al trasporto di persone (perciò differenti dai carri, pensati invece per il trasporto delle merci) noti sotto il nome di berlina, calesse, fiacre, landau, capote, phaeton… Quanti di questi mezzi potevano circolare centoquarantasette anni fa a Bari, che allora contava appena sessantamila abitanti? Non più di un centinaio. Con pochissimi omnibus e numerosi carri, le carrozze costituivano uno dei pochi elementi che animavano le strade di una città, quella nuova, che rispetto a quella vecchia, doveva presentare un aspetto quasi sonnacchioso. E questo anche per effetto di due cose: costruzioni e suoni. Le prime, non superando i due piani, facevano apparire le strade ancora più larghe di come le percepiamo oggi. I secondi erano prodotti solo dagli ambulanti, dagli artigiani e dalle ruote dei veicoli che cerchiate in ferro battevano sulle chianche; ben poca cosa rispetto al chiasso che l’asfissiante promiscuità della città vecchia produceva. Questo insieme di pregi, tuttavia, non deve far pensare ad una Bari murattiana esente da problemi. Tornando alle carrozze, la velocità media di un calesse, di una berlina o di un landau andava dai 7 ai 12 chilometri orari a seconda che il tiro fosse a uno o a due. Tali velocità potevano salire anche a quindici se il cocchiere lavorava di frusta e addirittura superare i venti se l’animale s’imbizzarriva. Sono numeri che fanno sorridere oggi, ma che, rapportati ai tempi, costituivano un bel problema. L’unico vero freno della carrozza era costituito dal suo stesso ‘motore’, l’animale. Se il cavallo era ben addestrato, gli bastava un comando vocale per passare dal trotto al ‘passo’. In caso di maggiore necessità, il comando vocale era accompagnato da una stretta al ‘morso’ : al che la bestia affiancava, puntandoli in avanti, gli zoccoli anteriori e l’attrito faceva il resto. In caso d’emergenza restava il palliativo del freno di stazionamento della vettura. In conclusione, quando era in arrivo una carrozza, chi attraversava la strada faceva bene a prestare molta più attenzione di quanta ne debba mettere il pedone di oggi, il quale – almeno sulla carta – può fare affidamento su passaggi zebrati, semafori e limiti di velocità. Prudenza dettata anche dal fatto che i cocchieri non erano affatto galantuomini. Rozzi, prepotenti e spesso ‘bevuti’, di norma costoro pretendevano la precedenza dai pedoni. Non erano perciò rari i casi di investimenti, alcuni dei quali anche mortali. E nella latitanza di un Codice della Strada, non era raro che i cocchieri ne uscissero impuniti.
Italo Interesse
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