Bari, la bici e il rimpianto delle quattro ruote
Il concetto di igiene pubblica non può prescindere da quello di pubblico decoro. Per cui svuotare cassonetti e spazzare strade non basta. Andrebbero rimosso, cancellato se possibile, ogni altro ‘segno’ avvilente ; per esempio i messaggi vergati sui muri con gli spray. Anche le carcasse delle biciclette rimaste incatenate a pali e transenne infondono tristezza, a parte il fatto che in tanta ferraglia rugginosa è facile inciampare. Un fenomeno frequente a Bari. ‘Alleggerire’ una bici prima di una ruota, poi dell’altra, quindi di sellino e portapacchi, infine del manubrio è un gesto che solo in superficie segnala un’accresciuta domanda di bicicletta. In realtà è indice di crisi morale, prim’ancora che economica. E’ anche ode indiretta ad un bene (l’automobile) di cui si continua a fare abuso. E’ incredibile come nel capoluogo pugliese, città del tutto pianeggiante, affatto grande e rimasta invivibile sul piano del trasporto pubblico/privato nonostante caro-carburante e caro-assicurazioni, si continui a rimpiangere la quattro ruote. A Bari non c’è stata nessuna rivoluzione di pensiero a proposito di trasporto urbano. La bici rimane nell’immaginario collettivo rimedio da poveracci o capriccio da snobboni. Per cui si pedala e si sospira tornando con la memoria ai tempi in cui il più dannoso mezzo di locomozione della Storia (sempre lei, l’autovettura) sembrava avere futuro illimitato. Eppure i numeri, impietosi, dovrebbero aprire gli occhi. L’auto, ha scritto Mario Tozzi, ricercatore CNR, “è una specie di gigantesca stufa rumorosa che riscalda l’atmosfera e poi, incidentalmente, produce movimento”. E’ vero. Scaldando pneumatici e asfalto e avvelenando l’auto è responsabile al 20% delle emissioni di anidride carbonica, all’80% per il monossido di carbonio e al 30% per il monossido di azoto, E tralasciamo le polveri sottili e altre sostanze dannose. In media trascorriamo sette anni della nostra vita all’interno di un bene una cui tonnellata richiede grosso modo 25 tonnellate di altri materiali, 200 tonnellate di acqua e 1,5 tonnellate di petrolio sotto forma di materie plastiche. A differenza della bicicletta, l’auto divora il nostro tempo, la nostra libertà, la nostra salute nervosa. “Ci ha colonizzato l’anima e distrutto il portafogli”. E a Bari si pedala mugugnando in mezzo a una parte dei 36 milioni di autovetture circolanti nel nostro paese, numero che rapportato a quello della popolazione (sessanta milioni) spinge l’Italia al primo posto in Europa. E Fiat, Ford, Wolkswagen piangono miseria, implorano contributi statali per tenere in vita la più demenziale delle industrie (dopo quella delle armi). Che succederà quando tutti i cinesi (un popolo di ciclisti sino ai tempi di Mao) vorranno un’auto? Soltanto per loro serviranno 65 milioni di barili di petrolio al giorno, a fronte di una produzione mondiale che non tocca neanche i cento. Se moltissimi baresi, come altrettanti italiani hanno una o due auto “è perché, per ciascuno di noi, venti cinesi vanno ancora in bici e quaranta africani a piedi”.
Italo Interesse
Pubblicato il 27 Settembre 2013