Cultura e Spettacoli

Briosa e dinamica: la dodicesima notte

Con l’ennesimo tutto-esaurito si è chiusa al Van Westerhout l’undicesima e ultima  (per ora) replica de ‘La dodicesima notte’. Un successo questa produzione della Compagnia Diaghilev, a propria volta sorpresa da tanto exploit (si parla di centinaia di spettatori mandati indietro nel mese di ottobre). Massimo Verdastro, che con Marco Ortolani rielabora il verbo shakespeariano lavorando sulla traduzione di Masolino D’Amico, mette a punto un ‘ordigno’ drammaturgico che, detonando, esalta la naturale vivacità del testo. Dopo un avvio corale, prende piede una sorta di moto perpetuo solo parzialmente destinato a consumarsi in palcoscenico. Molta parte dell’azione, infatti, si svolge ai piedi del palcoscenico, a contatto ravvicinatissimo col pubblico. E il corridoio centrale fra le poltrone è corsia preferenziale ora per entrate clamorose, ora per uscite concitate. Un allestimento esuberante, anche convulso, talora persino esagerato. C’è voglia di stupire, qui, voglia di sorprendere e di non farsi prendere. Un poco questa ‘dodicesima notte’ gioca a rimpiattino col pubblico, nel senso che per quasi due ore sguscia festosamente dalle mani dello spettatore, salvo concedersi, ancora col fiatone, al momento dell’applauso conclusivo. Una messinscena accurata, che non trascura nulla, dalla preparazione vocale e musicale (Francesca Della Monica) ai movimenti di scena (Giuseppe Sangiorgi). Particolarmente fantasiosi i costumi disegnati da Tommaso Lagattolla, che firma, ma con minor successo, anche le scene. Audaci le scelte musicali di Marco Ortolani (che spasso ‘Cuore’ della Pavone in play back sulle labbra di Viola, la ragazza naufragata insieme al gemello Sebastian sulle coste dell’Illiria). A queste condizioni non era difficile accendere l’estro di un buon cast. Il solito Paolo Panaro brilla in mezzo a Elisabetta Aloia, Antonella Carone, Teo Guarini, Francesco Lamacchia, Loris Leoci, Vito Lopriore, Tony Marzolla , Giulia Sangiorgio e Giuseppe Scoditti. Dieci-attori-dieci, era il caso di sottolineare in cartellone, come si faceva un tempo per rimarcare l’entità dei corpi di ballo che facevano da cornice ai varietà. Finalmente uno Shakespeare non asciugato a due personaggi, non assillato da Freud e simbolismi improbabili, né gratuitamente attualizzato tirando le cose per i capelli, come oggi è infausta tendenza. Certo, Verdastro occhieggia al presente, inventa abbastanza e osa non poco, tuttavia la leggerezza e l’umorismo che impiega mettono il suo allestimento al sicuro dai guasti di canoni abusati o di improduttive fughe per la tangente. – Nell’immagine : Antonella Carone nei panni della contessa Olivia.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 25 Ottobre 2016

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