Caduto il Romano, sopravvennero i lucani
La morte del Sergente Romano, avvenuta il 5 gennaio 1863 nel bosco di Vallata tra Gioia e Santeramo, segnò la fine della rivolta antipiemontese in Puglia. “Scomparso il condottiero, che con la sua indomita energia e con la sua personale autorità teneva salda la compagine di quella gente perduta, il brigantaggio nostrano perde ogni politica parvenza, assumendo forma e contenuto di ordinaria criminalità” (Antonio Lucarelli, ‘Il Sergente Romano’). Questo ‘vuoto’ venne colmato dai “masnadieri” lucani, i quali, messi in fuga dalla loro regione, andarono ad annidarsi nell’Alta Murgia. Sul cadere dell’inverno 1863, Crocco, Ninco Nanco, Coppa, Caruso di Atella e Tortora di Ripacandida si spinsero nel territorio di Ruvo dove, incontrastati, si resero protagonisti di estorsioni, massacri, stupri e rapine. Ma il 20 marzo, presso la masseria Franchini in agro altamurano, i briganti s’imbatterono in due compagnie di fanteria e un reparto del Cavalleggeri Saluzzo. Alla vista del nemico si diedero alla fuga. In realtà stavano tirando i cavalleggeri in trappola. Giunti in contrada Lago Cupo, attraversato un dirupato sentiero, scesero da cavallo, si trincerarono dietro un lungo muro a secco e accolsero gli inseguitori a fucilate. Nella “terribile mischia” persero la vita il capobanda Giovanni Coppa e un numero imprecisato di briganti ; sul fronte opposto caddero il tenente Pizzigalli e i soldati Francesco Bruni e Pasquale Zignani. Per sette mesi Crocco rimase inoperoso, poi, in ottobre, racimolati faticosamente centocinquanta gregari, tornò a molestare i territori di Corato, Ruvo, Terlizzi, Bitonto, Grumo, Toritto, Altamura e Gravina (in prossimità di Santeramo s’imbatté in un plotone di carabinieri e guardie nazionali, che inseguì fino sotto le mura della città ; ebbe persino la sfrontatezza di accamparsi a breve distanza dall’abitato, in località Madonna della Pietà). Nei giorni di Natale del 1863 e nel gennaio dell’anno successivo, le bande di Crocco, Ninco Nanco e Tortora tornarono a “desolare” i nostri comuni. Ma si trattava ornai di apparizioni fugaci, ultimi sprazzi di ‘resistenza’ involuta in attività predatoria fine a sé stessa. L’introduzione di disposizioni repressive, di cui la spietata Legge Pica rappresentò l’apice, l’assegnazione di vistose ricompense a chiunque si fosse adoperato per la cattura dei fuorilegge e il rinforzo della presenza militare (tra la fine del 1862 e l’inizio del 1863 nel Mezzogiorno erano dislocati circa centoventimila uomini, ossia la metà dell’intera forza armata nazionale) determinò la fine di quella che fu la prima guerra – civile – del neonato Regno d’Italia. Devastante il bilancio : un migliaio di fucilati, almeno duemilacinquecento caduti sul campo e un tremila condannati al bagno penale. – Nell’immagine, una tela di Giovanni Fattori.
Italo Interesse
Pubblicato il 28 Gennaio 2022