Cultura e Spettacoli

Campi di anfore, campi di cocci

Le carte archeologiche sottomarine indicano in Puglia ben 108 siti. Sei di questi siti sono contrassegnati come ‘campi di anfore’. L’espressione indica isolati  concentramenti di anfore (tutte di era romana) a poca distanza dalla costa e a profondità variabile tra i 5 e i 15 metri. Queste ‘anomalie’, tutte raccolte nel mare di Brindisi con la sola eccezione dello specchio d’acqua di Torre S. Stefano a Otranto, segnalano che lì antiche navi furono mandate a fondo dall’improvviso ingrossarsi del mare, fenomeno assai frequente nel basso Adriatico dove lo scontro dei venti balcanici con quelli che vengono dal nord Africa dà spesso vita a insidiosissime trombe marine. Ma dove fu naufragio non resta il relitto? E invece nelle vicinanze dei suddetti campi di anfore non si vedono resti di imbarcazioni…. L’assenza si spiega in due modi : Essendo passati non meno di sedici, diciassette secoli da quegli affondamenti – poiché a trasportare tante anfore non potevano essere brigantini, caicchi o feluche, bensì antiche navi ‘onerarie’ (cioè da carico) dell’età imperiale romana – era fatale che in due millenni di immersione i rottami dell’imbarcazione finissero con decomporsi,  mentre l’azione corrosiva dal sale nulla poteva contro cose che la rotondità difendeva anche dalla pressione e dal moto ondoso. Il secondo modo di spiegare l’assenza del relitto esige una precisazione : i campi di anfore non vanno confusi con i ‘campi di cocci’, o ‘gruppi di anfore frammentarie’. Con quest’altra espressione vengono indicate le distese di anfore (ancora dell’era romana) ridotte in pezzi. Ebbene, nelle vicinanze dei campi di cocci i relitti non mancano… Cerchiamo di giungere ad una conclusione : Se una mareggiata disintegra una nave perché dovrebbe lasciarne intatto il carico? Un carico può restare intatto solo se l’imbarcazione viene fatta affondare aprendo a colpi di scure uno squarcio nella stiva. Ma in questo caso tra fasciame, albero e altri oggetti di bordo qualcosa della nave dovrebbe sopravvivere in mezzo ad anfore intatte. Nulla invece. L’unica allora è che la nave sia stata deliberatamente alleggerita del carico durante la navigazione. Una tecnica, questa, alla quale ai tempi della navigazione a vela si ricorreva per risparmiare almeno l’imbarcazione in caso di tempesta. E se il mare era una tavola? A un centinaio di metri dalla riva non si seminano così eventuali corsari. Si può però gabbare la Legge. Già ai tempi di Roma nei porti si pagava il dazio, a meno di scaricare la merce in calette discrete. E se mentre si naviga verso approdi ‘amici’ si profila all’orizzonte la sagoma di un’imbarcazione di vigilanza ‘fiscale’? Come oggi i contrabbandieri contrastano l’inseguimento delle motovedette della Finanza lanciando in acqua cartoni di sigarette, gli evasori fiscali di ieri si sbarazzavano di scottanti partite di vino, olio o cereali ‘conferendole’ in acqua. Il mare pattumiera già in tempi non sospetti.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 25 Luglio 2014

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