Cultura e Spettacoli

Caso Percoco, ferita mai rimarginata

In anteprima al Bifest2023, sarà presentato uno scottante film scritto e diretto da Pierluigi Ferrandini

Domenica 26 marzo, in anteprima al Bari International Film&TV Festival 2023, sarà presentato “Percoco – il primo mostro d’Italia’, film scritto e diretto da Pierluigi Ferrandini. Il lavoro è tratto da ‘Percoco’, romanzo d’esordio di Marcello Introna, in origine pubblicato a Bari nel 2012 da Il Grillo Editore. Romanzando con moderazione, l’Autore ricostruisce quello che a tutt’oggi rimane il più efferato caso di violenza che abbia avuto luogo a Bari : La storia di Francesco Percoco, uno psicopatico che nella notte tra il 20 e il 21 maggio 1956 accoltellò a morte i genitori e il fratello down ; si salvò solo Vittorio, il maggiore dei tre figli, in quel momento in carcere per furto. Già pessimo studente, scialacquatore, mitomane, ladruncolo e irresponsabile, Percoco approfittò di quella libertà per organizzare festini in casa sua, avendo avuto cura di nascondere i tre cadaveri in un armadio a muro. Infine, razziati oggetti preziosi, contanti e titoli al portatore, tagliò la corda. Era prossimo a fuggire in Marocco quando, due settimane dopo, a Ischia, venne arrestato. Condannato all’ergastolo, vide poi la pena ridotta a trent’anni essendogli stata riconosciuta l’infermità mentale. Scarcerato per buona condotta dopo poco più di vent’anni, si trasferì prima a Napoli e poi nel 1981 a Torino, dove trovò lavoro come impiegato e (sembra) si sposò. Morì nel capoluogo piemontese il 14 febbraio 2001. Il caso Percoco fu l’unico in Italia in cui due giornalisti – Luigi de Secly e Ciro Bonanno, rispettivamente direttore della Gazzetta del Mezzogiorno e corrispondente da Napoli della stessa testata – furono condannati per “diffusione di materiale raccapricciante”, cioè le foto scattate dalla Polizia Scientifica sul teatro della tragedia. Le copie del giornale datate 11 giugno 1956 furono ritirate porta a porta dalle abitazioni degli abbonati e dalle edicole. I due giornalisti, condannati a sei mesi di reclusione, furono assolti quattro anni dopo in terzo grado. Non furono però mai più reintegrati nell’organico del giornale. L’inquietante racconto di Introna si snoda sullo sfondo di un capoluogo ancora segnato dalle ferite del dopoguerra. Tra queste cicatrici spicca il caso del fabbricato La Socia, cui Introna dedica il venticinquesimo capitolo del suo libro. Luogo malfamato per antonomasia, l’edificio in questione rappresentò il bubbone della città, dagli anni dell’occupazione alleata a quelli del suo sospirato abbattimento, che avvenne nel 1962. Nemmeno vent’anni erano bastati a imbastardire questo imponente fabbricato  eretto verso la fine dell’Ottocento ad angolo tra piazza Luigi di Savoia e via Zuppetta e frutto di un innovativo pensiero socio/economico. ‘La Socia’, infatti, ospitava le famiglie dei dipendenti del Gruppo Facchini, una grossa realtà commerciale che si occupava di esportare olio e mandorle. Con una ragionevole trattenuta sullo stipendio operai e impiegati potevano decorosamente soggiornare a poca distanza dai luoghi di smistamento della merce (la stazione e il porto) con la prospettiva, anche, di riscattare l’appartamento. Cosa che alla fine tutti fecero. Nel tempo i passaggi di proprietà mutarono il volto del piccolo ‘popolo’ de La Socia. A metà degli anni trenta non era rimasto nessuno degli originali inquilini. Cominciò il declino. Alcuni appartamenti involsero in postriboli, mentre la qualità dei casigliani peggiorava. Poi venne la guerra. Nel degrado dell’occupazione alleata, La Socia divenne letale. Covo di malfattori d’ogni risma, il fabbricato ‘ingoiava’ gli imprudenti che vi mettevano piede. Si parlò di atti di cannibalismo e di cadaveri murati. “La Socia era l’inferno e se Franco (Percoco, n.d.r.) avesse avuto una coscienza da gnostico forse ci sarebbe andato a cercare Satana”… Infine, per ragioni anche igieniche l’Autorità dispose l’abbattimento de La Socia (i suoi abitanti furono tra i primi ad essere ‘deportati’ al nuovo Centro di Edilizia Popolare sorto a ridosso dell’aeroporto e che in seguito sarebbe stato ribattezzato San Paolo). Nessuno rimpianse un fabbricato a detta di tutti ‘maledetto, come ‘maledetto’ fu marchiato anche l’appartamento dove risiedevano i Percoco e che rimase disabitato sino agli anni ottanta, quando l’edificio venne abbattuto. Un’altra demolizione occorsa tra il generale sollievo.

Italo Interesse


Pubblicato il 10 Marzo 2023

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