Cultura e Spettacoli

Caterina, la pulzella di lesbo

In un affatto noto ‘trattattello’ di Giovanni Bianchi, anatomista dell’ospedale di Santa Maria della Scala a Siena nella prima metà del Settecento, si legge di tale Giovanni Bordoni il quale, già servitore del governatore di Anghiari e donnaiolo seriale, in realtà era una donna (e pure “pulzella”) come si potette constatare alla sua morte. All’iniziale stupore dello scienziato subentra la curiosità : Chi era quella giovane e che necessità aveva di vivere da travestita? E qui viene in luce la storia di Caterina Vizzani, figlia di un legnaiolo, che per meglio assecondare una natura ‘diversa’  e all’epoca imperdonabile aveva dovuto ricorrere – e con successo – a quell’escamotage. Non fosse stato per il rigore della censura, la faccenda della “pulzella di lesbo” avrebbe fatto il giro d’Europa. Ma il tono a volte troppo colorito assunto dalla prosa del Bianchi aveva instillato nell’onnipotente Autorità religiosa il sospetto che l’Autore intendesse lanciare messaggi eversivi a danno del comune senso del pudore. C’era poi il fatto che “alcuni d’ordine religioso pretendevano che (la Vizzani) per aver serbata con tanta costanza castità con gli uomini fosse Santa” (e qui la memoria corre al boccaccesco ser Ciappelletto il quale, incallito peccatore, riesce in punto di morte a ingannare il confessore e a passare per “santo uomo”). Insomma, il trattatello del Bianchi circolò solo clandestinamente, sì che se ne può godere solamente oggi, a distanza di oltre due secoli. Una storia sapida che, snodandosi tra il piccante e il torbido sullo sfondo di un Granducato di Toscana che più codino non si può, illustra bene come di tutte le pulsioni quella d’amore resti la più forte in ogni tempo. Una storia che Elisabetta Aloia ha leggermente riaccomodato per poterla meglio raccontare. ‘Si faceva chiamare Giovanni’ è andato in scena giovedì scorso al Van Westerhout nell’ambito della stagione di prosa dello storico teatro molese, dove è ‘residente’ la Compagnia Diaghilev. Unanimi i consensi. La Aloia, che ha buona presenza scenica, si muove con padronanza all’interno di una scena nuda, scandita da un disegno luci spartano ma efficace. L’uso di una gestualità ‘rotonda’ (un po’ tardo-barocca, verrebbe da dire), si coniuga con panni di scena ben pensati e meglio tagliati. Tutto ciò segnala uno spettacolo accurato e costantemente godibile. – La Aloia sarà di nuovo in scena sullo stesso palcoscenico venerdì 1 aprile in ‘L’impresario’, tratto da ‘L’impresario delle Smirne’ di Carlo Goldoni ; adattamento e regia di Paolo Panaro. In scena, oltre alla Aloia, Paolo Panaro, Vito Lopriore, Francesco Lamacchia ed altri.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 22 Marzo 2016

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