Cultura e Spettacoli

Cave abbandonate, il fascino dell’innaturale

L’attività estrattiva ha sempre del traumatico sul piano paesaggistico : colline livellate, voragini artificiali, foreste sparite (sorvolando sui non visibili danni arrecati all’ambiente nel caso di miniere in sotterraneo). Qualche rara volta le ferite inferte dall’uomo al territorio possono rivelarsi suggestive. Tale involontario effetto è evidente in modo particolare nelle cave abbandonate. Queste miniere a cielo aperto una volta abbandonate sviluppano un loro innaturale fascino. Una conseguenza dell’azione della natura che, caparbia, si adatta al segno lasciato dall’industria estrattiva. Un segno che suscita anche meraviglia, se si considera che dall’era preistorica all’ultimo dopoguerra le modalità di estrazione sono rimaste pressoché invariate. Da noi il lavoro dei cavamonti, detti anche ‘zoccatori’, termine derivato dall’uso dello ‘zocco’, un particolare tipo di piccone, cominciava liberando l’area scelta per l’estrazione della vegetazione e del terreno superficiale (che poi veniva venduto ai proprietari dei terreni poveri, cioè caratterizzati dalla presenza di estese zona di roccia affiorante). Una volta asportato il ‘cappellaccio’, lo strato superficiale, inservibile, del banco roccioso, si cominciava con l’uso dello zocco ad aprire nella roccia un solco sottile e profondo una trentina di centimetri. Dopo, a intervalli regolari, con l’impiego della mannara (strumento simile ma più grande dello zocco) all’interno dello stesso solco venivano praticate le ‘finte’, incisioni più larghe al cui interno si inserivano pali di ferro o cunei. Facendo leva su questi era possibile ottenere il distacco dei blocchi desiderati. Benché rudimentale, la tecnica consentiva tagli pressoché chirurgici, il che conferisce alle cave abbandonate il singolare aspetto che tutti conosciamo. Si pensi a le ‘Tagghiate’, le antiche miniere di tufo scavate nel fianco della collina di Belvedere alle porte di San Giorgio Ionico, a tredici chilometri da Taranto. Questi corridoi silenziosi, dalle pareti altissime e levigate, qua e là intervallati da colonne tufacee che si levano verso il cielo sormontate da un breve, naturale giardino pensile sprigionano un’atmosfera irresistibile. Per non dire della peculiarità del tufo di assecondare il cambiamento di luce assumendo tinte pastello in ragione dell’esposizione,  dell’ora e delle condizioni atmosferiche. Strano che non vi abbiano ancora girato un film importante. In compenso un progetto finanziato dalla Presidenza del Consiglio e messo in essere da associazioni culturali attive nel tarantino sta facendo de Le Tagghiate uno spazio per ospitare spettacoli teatrali e musicali, manifestazioni folcloristiche, mostre ed altri eventi.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 6 Aprile 2018

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