Che sarà dei regni del Signorsì?
Simile a un privato che, strozzato dai debiti, si rassegna a svendere oro e mobilio o a rottamare l’auto, lo Stato italiano mette all’asta il patrimonio immobiliare. Non bastando a colmare voragini la messa all’asta di palazzi storici, case cantoniere e caselli ferroviari, ora si punta sul demanio militare (a tale proposito è stato coniato un neologismo tanto sgradevole quanto inappropriato ; ‘demanializzare’,infatti, fa pensare alla trasformazione in demaniale di ciò che demaniale non è, mentre qui si vuol intendere tutto il contrario). Con l’abolizione della leva obbligatoria e con il lievitare dei costi della macchina bellica, appena tre caserme su dieci sono utilizzate. Che fare del rimanente, che spesso è collocato in aree di alto valore urbanistico? Il problema è in questi giorni oggetto di un vivace dibattito a Bari, dove è attesa Roberta Pinotti, ministro della difesa. Ad incontrarla saranno il candidato Sindaco Antonio Decaro e l’Assessore all’urbanistica Elio Sannicandro. Molti nel capoluogo gli immobili militari cui cambiare destinazione d’uso. Pinotti, Decaro e Sannicandro discuteranno su cosa riqualificare e cosa no. Riqualificabili sono l’ex Ospedale Militare Bonomo, il Quartiere della Regione Aerea di Corso Sonnino, l’Ex Tribunale Militare di via San Francesco D’Assisi e la Caserma Picca. Quanto ai depositi dell’Aeronautica a Mungivacca e alle caserme di via Amendola e via Napoli, avanti con le ruspe. Ciò stabilito, come ‘voltare’ i primi quattro immobili e che fare nei casi rimanenti delle spianate che si andranno a ricavare? La felicissima collocazione dei grandi immobili storici (con l’eccezione del ‘grigio’ complesso ospedaliero) solleva delicati problemi. Fare, per esempio, della Picca un Museo, del Quartiere l’attesa sede dell’Acquario Provinciale e dell’ex Tribunale un ufficio pubblico equivale, sia pure in piccolo, a mutare il volto della città. E un altro poco cambierà Bari se caserme e depositi dovranno fare spazio a parcheggi, a giardini oppure a civili abitazioni. Attenzione a non sbagliare, perciò, a tenere conto delle priorità pubbliche, a non deprimere un’opportunità di crescita sociale in una ragione di ulteriore intralcio. E’ dall’inizio del Novecento che Bari cresce male, che si espande senza ordine, danneggiata da piani urbanistici confusi, per di più disattesi. E attende dal dopoguerra la risoluzione del nodo ferroviario, che forse non avverrà mai. Le chance a disposizione per alleggerire i disagi si sono assottigliate. A parte l’area dell’ex Stanic e (forse) del quartiere fieristico, non ci resta che il demanio militare su cui investire per riparare – in parte – agli errori del passato e rendere questa città il più vicino possibile alla funzione cui la Storia l’ha (bruscamente) chiamata, quella di città di frontiera e di porta d’Oriente.
Italo Interesse
Pubblicato il 5 Aprile 2014