Chez Feydeau, ipocrisia e nevrosi
A suo tempo sbrigativamente classificato come autore d’intrattenimento e solo di recente rivalutato, Feydeau stenta ancora a trovare tutta l’attenzione che l’intelligenza caustica dei suoi testi meriterebbe. Un omaggio in più allora non guasta. Di recente ha provveduto in tal senso Paolo Panaro, protagonista di un ben mirato ‘gesto’ : Individuati tre atti unici del repertorio Feydeau assai vicini fra loro, Panaro li ha moderatamente rimodulati facendo leva sulle costanti del genere brillante/vaudeville e poi assemblati (senza sforzo) in un’unica pièce fratta in tre tempi. ‘Maison Feydeau’, che nelle due ultime settimane è rimasto in cartellone al Van Westerhout, si distingue per originalità : scansa infatti i luoghi comuni (l’amante nascosto/a sotto il letto o nell’armadio, la tresca, la servitù complice…) e concentra l’attenzione solo sull’attrito coniugale. Qui i due personaggi principali, un marito e una moglie stizzosi, egoisti ed immaturi, vengono isolati dai contesti d’origine e incorniciati una seconda volta in un vorticoso esperimento scenico. L’esito è brillante. Feydeau c’è tutto. Anche più. Nel senso che la carica polemica e a suo modo rivoluzionaria con cui l’autore francese sferzava sotto traccia l’ipocrita società del suo tempo, questa volta viene allo scoperto. Un emergere che ha niente di anacronistico, verrebbe da dire, se a tale implicito dare del ‘moderno’ a Feydeau non ostasse la banalità furba e seriale con cui oggi a teatro, e tirando le cose per i capelli, si attualizza di tutto, da Plauto a Checov. Venendo ora ai contributi dei singoli, questa produzione Diaghilev si arricchisce del lavoro di Francesco Ceo (costumi) e soprattutto di quello di Donato Didonna, che firma scene pregevoli : Sagome di oggetti e cose disegnati con lo stile a china delle illustrazioni satiriche dei giorni precedenti l’avvento della fotografia riempiono la scena condizionando il gesto, che colorano di grottesco. Di modo che gli interpreti danno la sensazione di muoversi fra i ritagli di un fumetto, ove addirittura non sembrino catturati dallo stesso. In entrambi i casi l’effetto ha del delirante, il che ben si sposa con la dimensione straniata in cui sguazzano i personaggi di Feydeau, questa turba di nevrotici e frustrati, perennemente alle soglie di una crisi nervosa. Intorno al solito, versatile Paolo Panaro, che ora veste i panni di una madre matura ed altezzosa, ora quelli d’un malcapitato critico d’arte, gareggiano in bravura Elisabetta Aloia, Antonella Genga, Francesco Lamacchia, Loris Leoci e Giulia Sangiorgio. Luci : Gianni Colapinto, assistente alla regia : Giulia Sangiorgio.
Italo Interesse
Pubblicato il 23 Maggio 2017