Cultura e Spettacoli

Chi tradì il povero Celestino?

Pietro da Morrone, divenuto papa col nome di Celestino V il 5 luglio 1294, rinunciò al pontificato dopo appena tre mesi. Sognava di tornare nella cella del monastero di Morrone (vedi immagine) da cui senza piacere aveva dovuto separarsi, ma il suo perfido successore, Bonifacio VIII, temendo uno scisma da parte dei cardinali filo-francesi a lui contrari e che avrebbero potuto reinsediare l’eremita sul soglio di Pietro, diede disposizioni affinché l’anziano monaco fosse messo sotto controllo. Venuto a conoscenza del disegno del nuovo Papa, con l’aiuto di alcuni tra i cardinali rimastigli fedeli, tentò la fuga. Il tentativo ebbe termine a Vieste, dove Celestino sperava d’imbarcarsi per la Grecia. A questo punto le fonti divergono : Alcune sostengono che Pietro chiese e ottenne asilo presso una grancia (magazzino dove si custodivano le sementi e i proventi in grano delle ‘decime’) amministrata dai Benedettini in località Calma. Altre fonti individuano questo asilo nel vescovado di Vieste oppure nel Santuario, oggi non più esistente, di Santa Maria di Merino, che sorgeva appena fuori Vieste in direzione di  Peschici. Quale che fosse il nascondiglio, è certo che il 16 maggio 1295 uomini mandati da Bonifacio VIII si presentavano a Vieste a rilevare l’augusto monaco. Chi indirizzò questi uomini, chi tradì il povero Celestino? Chiunque l’abbia fatto lo fece per denaro. Su un ex Papa non poteva pendere una taglia come nel caso di un volgare malfattore, ma in tutto il Mezzogiorno doveva essersi propagata con la velocità del fuoco in un campo di stoppie la nuova di una sontuosa “regalia” a beneficio di chiunque avesse contribuito alla ‘individuazione’ (mai dire cattura) di quest’uomo ‘smarrito’. A tradire Celestino furono gli stessi benedettini che gli diedero asilo? Di sicuro la promessa di quella regalia era accompagnata dalla sottintesa minaccia di scomunica a danno di chiunque avesse ostacolato le ricerche dei messi pontifici. E la scomunica, ovvero la prospettiva dell’Inferno, era cosa a quel tempo ritenuta più grave persino della morte. Un priore ambizioso (il capo di quella comunità benedettina), incerto tra la prospettiva della dannazione e quella di una consistente donazione, alla fine non poteva che optare per quest’ultima. Un gesto sleale, certo, ma gli uomini di Chiesa del tempo si somigliavano tutti. Un Celestino V costituiva un’eccezione, rappresentava un precedente pericoloso e come tale andava neutralizzato. Confinato nella rocca di Fumone, in Ciocoaria, Celestino si sarebbe spento l’anno dopo, il 19 maggio 1296. Secondo la versione ufficiale morì dopo aver celebrato ai limiti delle forze l’ultima messa. E’ del tutto infondata la teoria per la quale la sua morte sarebbe stata ‘affrettata’ da suo successore : una perizia del 2013 ha dimostrato che il foro presente nel cranio, come già evidenziato da due esami avvenuti nel 1313 e nel 1888, fu praticato dopo la morte, forse allo scopo di gettare un’ombra ulteriore sul discusso pontificato di Bonifacio VIII.

Italo Interesse


Pubblicato il 17 Luglio 2018

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