“Chinatown Bari”: alla scoperta della comunità cinese
Insegne dai caratteri indecifrabili sopra vetrine dove sono allestiti abiti a prezzi starcciati, voci che emettono suoni di una lingua a noi incomprensibile, dietro al bancone due occhi a mandorla che ci scrutano. Non siamo in una qualche metropoli del lontano oriente ma a Bari, in uno dei tanti negozi d’abbigliamento che da qualche anno spuntano come funghi per le vie della città. Sono loro: i cinesi, i padroni di quei negozi. Coloro da cui acquistiamo vestiti, scarpe, utensili e tutto ciò di cui si ha bisogno nella vita quotidiana.Dietro i loro visi dai lineamenti orientali si cela l’impronta di una cultura antichissima ed uno stile di vita che paiono incomprensibili ai cittadini baresi. Ma da dove vengono esattamente, e come avranno fatto in così poco tempo ad aprire così tante attività commerciali quando gli italiani a causa della crisi economica stentano a mantenere attive le propie? Dietro ai loro fiorenti affari ci sarà forse la mano oscura della famigerata mafia gialla? E’ vero che nascondono i decessi dei loro connazionali per poi trasferire i documenti del defunto agli altri arrivati illegalmente? Per rispondere a queste ed altre domande ci siamo recati nei negozi cinesi di Bari intervistando i diretti interessati, cercando di capire il loro modo di vivere così apparentemente oscuro e misterioso.
Chi sono. La maggioranza dei cittadini cinesi a Bari provengono da una regione meridionale della Cina chiamata ZheJiang, la culla della migrazione cinese in Italia.I primi Zhejiangesi arrivarono negli anni venti dalla Francia e dai Paesi Bassi, dove vi si erano stabilite delle comunità, per cercare fortuna nel nostro paese. Da allora molte più persone hanno seguito le orme dei loro avi formando la grande comunità cinese presente oggi in Italia. I Zhejiangesi in patria godono della fama di essere instancabili lavoratori ed abili imprenditori di aziende famigliari. A Bari infatti la maggioranza, se non tutti, i negozi aperti da cinesi hanno un propietario originario dello ZheJiang che ha lavorato per molti anni in una qualche industria del nord-Italia accumulando quei capitali che, uniti a quelli prestati da parenti e amici, gli hanno permesso di intraprendere un’ attività imprenditoriale nelle nostre terre meridionali considerate ancora “inesplorate” dal mercato dei cinesi all’estero. Niente economia sommersa o mafia gialla, ma duro lavoro, sembrerebbe dunque esserci dietro queste piccole imprese i cui propietari non possiedono l’immobile del negozio in cui lavorano, come molti credono, ma sono semplicemente in affitto. Affitti comunque molto salati, soprattutto nel centro. Come fanno allora a pagare e a guadagnare così tanto da invogliare parenti ed amici ad aprire altri negozi nelle vicinanze? Il motivo risiede principalmente nel cambio vantaggioso con cui vengono comprati e poi venduti i prodotti (1 Euro equivale a circa 10 Yuan cinesi), e nella quantità e varità di prodotti che una Cina in pieno boom economico può procurare. Un capo di vestiario venduto a Bari a 10-15 Euro potrebbe benissimo essere stato comprato dalla Cina ad un prezzo all’ingrosso anche dieci volte inferiore. Come se ciò non fosse ancora abbastanza si aggiunga il fatto che questi piccoli imprenditori cinesi, nonostante vivano in Italia continuano ad usare stili di vita molto spartani, tipici dei loro connazionali in patria: vivono nelle fabbriche dove lavorano, con costi di vitto e alloggio molto ridotti, a spese del propietario della fabbrica, che li portano a ridurre al minimo le spese di vita per poter accumulare quanti più soldi possibili ad aprire un impresa in proprio, in patria o ancor meglio in Italia. Una volta fatto ciò, i nostri cinesi, continuano a mantenere uno stile di vita molto austero per poter inviare soldi ai parenti rimasti in Cina, pagare eventuali debiti e continuare l’attività imprenditoriale che garantisce quel futuro migliore costato enormi sacrifici.
Mafia gialla.Da questo quadro esce fuori una comunità straniera dedita al lavoro e poco incline alla delinquenza, come anche confermato dal responsabile dell’ Ufficio stampa della Questura di Bari Dott. Vito Giordano, che ci informa come nei suoi tre anni di lavoro a Bari non ricordi particolari casi di criminalità legati alla comunità cinese, da lui definita “tranquilla e dedita al lavoro”. Ma allora, tutte le voci e indiscrezioni su questa famigerata e temibile “mafia gialla”, sono solo dicerie ? Sembrerebbe di no, data la maxi-operazione poliziesca del 2002 denominata “Asia trading” condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Bari, che ha stroncato una potente organizzazione criminale cinese di stampo mafioso, con base logistica a Bari, che contrallava un giro di immigrati cinesi clandestini che dalla Cina facevano spola in Montenegro per poi arrivare per mezzo di scafi nei porti pugliesi, dove in seguito venivano smistati in tutta Italia: nuovi operai-schiavi venuti ad inserirsi nel vortice inarrestabile della nuova economia mondiale. L’operazione, come ci spiega il vice questore Massimo Modeo, che dirige la sezione dedicata alla criminalità organizzata della squadra mobile di Bari, iniziò con il ritrovamento sulla spiaggia di Riva del Sole a Giovinazzo (Ba) dei cadaveri di due giovani donne cinesi morte durante uno sbarco di clandestini, ed e’ culminata con l’arresto di 50 presunti esponenti della criminalità organizzata cinese dopo più di quattro anni di indagine condotte in Italia ed in Cina. Questa grande operazione di polizia ha molto probabilmente stroncato sul nascere la possibilità che la cosiddetta “mafia gialla” potesse radicarsi nel sud-Italia ed in tutto il resto della penisola. Rimane comunque alta l’allerta per evitare che organizzazioni criminali cinesi di stampo giovanile, che non hanno nulla a che fare con la mafia dei loro connazionali in patria, meglio conosciuta con il nome di “Triade”, possano ramificarsi anche a Bari e provincia, come hanno fatto in altre città del nord con una ben più alta concentrazione di cittadini di nazionalità cinese. Oggigiorno però non sono i baresi che dovrebbero preoccuparsi tanto della criminalità cinese, ma al contrario sono questi ultimi che, come ci rivelano le nostre interviste nei negozi cinesi del centro di Bari, hanno subito e continuano a subire furti da parte di italiani ed emigrati di altre nazionalità, nonché richieste di “pizzo” ed intimidazioni da parte, questa volta, della ben più conosciuta mafia barese.
Ma questi cinesi non muoiono mai? Si parla spesso, chiacchierando approposito dei cinesi, che questi siano quasi “immortali”. Parliamo naturalmente di “morte burocratica”. Si dice che i decessi degli immigrati cinesi in Italia vengano tenuti nascosti per poi passare i documenti del defunto a qualche altro connazionale appena arrivato illegalmente, tanto per noi i cinesi hanno tutti più o meno la stessa faccia. Queste dicerie hanno portato la magistratura, in altre zone d’Italia a più ampia concentrazione di immigrati cinesi, ad indagare a proposito. Ebbene, queste indagini non hanno mai portato a nulla di concreto. Sebbene siano stati riscontrati alcuni casi criminali di “vendita” di documenti d’identità da parte di cittadini cinesi registrati in Italia ad altri loro connazionali entrati clandestinamente nel nostro paese, secondo studi in merito, questa convinzione che i baresi si sono fatti sulla faccenda della vendita delle identità risulta molto lontana dall’essere un fenomeno così diffuso come invece si ritiene. A Bari per esempio, non vediamo spesso funerali cinesi per il semplice fatto che i “cinesi baresi” hanno un età media che va dai 25 ai 45 anni (fonte Ufficio immigrazione della Questura di Bari) . La migrazione cinese a Bari è infatti avvenuta pochi anni fa, e i suoi protagonisti sono persone in piena età lavorativa ben lontani dalla vecchiaia, come si può ben constatare girando per i negozi cinesi della zona. Dei 329 cittadini cinesi regolarmente registrati alla Questura nel comune di Bari, soltanto 15 avrebbero più di 50 anni. Se si aggiunge il fatto che molti di loro raggiunta una certa età decidano di ritirarsi in patria per godersi i soldi guadagnati all’estero, si può ben capire che ciò che si dice sulla vendita delle identità dei cinesi sia molto spesso frutto di fantasia e ignoranza.
Mirko Misceo
Pubblicato il 28 Luglio 2012