Cultura e Spettacoli

Ci vorrebbe un’ottava nota

Sette sono le note, numero non casuale, sostengono i cabalisti che scorgono analogie con i giorni della settimana, le stelle dell’Orsa Maggiore, i colli e i re di Roma, le vacche magre e le vacche grasse, i peccati capitali… In realtà le note sono ‘giusto’ sette  perché l’udito umano ha limiti nella percezione delle frequenze che un cane, per esempio, non lamenta. Fosse alla portata dell’uomo un’ottava nota si potrebbe raccontare un’altra storia della musica. Allo stesso modo in cui la possibilità di vedere un quarto colore fondamentale o di toccare una quarta dimensione spalancherebbe panorami inimmaginabili alla pittura o alla scultura. E invece dobbiamo contentarci di giallo-rosso-azzurro, di lungo-largo-profondo, di do-re-mi…. Tornando alle sette note, questa nostra ‘limitatezza’ non ha impedito la scrittura di pagine meravigliose dove sono stati esplorati tutti i generi possibili. Di tutti, il Novecento è stato il secolo più fertile, nel quale è stato inventariato tutto il patrimonio musicale sedimentatosi in tre, quattromila anni di storia documentata. Ma adesso? Da tempo i musicologi lamentano l’esaurimento di tutti i filoni, il che, se da un lato sgomenta gli appassionati, nuoce anche alla massa, sempre più a corto di novità da ‘consumare’. Le ‘contaminazioni’ oggi tanto di moda e il sempre più frequente ricorso alle ‘cover’ confermano questa sensazione di barile raschiato sul fondo. Lunedì sera al Forma, per la serata che di fatto concludeva Time Zones 2011 (l’evento, fissato per il 18 del mese scorso, era stato rinviato per l’indisponibilità di un esecutore) erano in cartellone Synusonde e Bugge Wesseltoft & Henrik Schwarz Duo, espressioni distinte di una miscela musicale dichiaratamente elettronica al cui interno non era difficile cogliere echi di altri generi rivisitati, rimodulati, riconvertiti… Un prodotto mutevole e vario, per larghi tratti piacevole cui si può  muovere un solo, benché determinante rimprovero, quello di aver lasciato a spettacolo finito un retrogusto d’inafferrabilità. Cosa in definitiva avevano ascoltato i pur entusiasti trecento spettatori che gremivano la platea della struttura di via Fanelli? Ma, soprattutto, potevano essi dire di aver ascoltato qualcosa di veramente nuovo? Nel caso di una risposta negativa, questa impossibilità ci sembra confermare quel senso di vicolo cieco di cui si diceva prima. Forse l’unica, prima di arrendersi veramente, è tornare indietro a cercare di definire quanto ancora non messo a fuoco di questo o quell’altro filone. Vorrà muoversi in questa direzione Time Zones (che quanto a qualità della proposta comincia a mostrare la corda)? Diversamente non saprebbe più come dare senso al motto che da ventisei anni la colora : Festival delle musiche possibili.
italointeresse@alice.it 
 
 
 
 
 
 


Pubblicato il 1 Dicembre 2011

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