Cultura e Spettacoli

Ciccilla: la scure o la mannaia

183 anni fa nasceva una brigantessa che in più di una circostanza si rese protagonista di gravi efferatezze

All’interno delle bande di Insorti che – fra immense contraddizioni – si opposero alle forze del neonato Regno d’Italia all’indomani dell’unificazione nazionale, trovarono posto anche le donne. Poche in verità e tutte segnate da una forza d’animo che in alcuni momenti toccava l’efferatezza. E’ il caso, per esempio, di Maria Oliviero, detta Ciccilla, nata a Casole Bruzio il 30 agosto di 183 anni fa. I guai di Maria cominciarono assai presto, col matrimonio contratto all’età di diciassette anni con tale Pietro Monaco, un’ex camicia rossa e già soldato borbonico poi datosi alla macchia, deluso come tanti altri dalle mancate promesse di Garibaldi, a cominciare dall’assegnazione del latifondo ai cafoni. Pietro non era uno stinco di santo. Lo dimostrò subito facendo di Teresa, la sorella di Maria la propria amante. Una cosa imperdonabile per Maria che applicò la giustizia a modo suo, massacrando la sorella a colpi di scure e perdonando il marito, che intanto, datosi alla macchia, aveva raccolto attorno a sé una temibile banda. Unitasi alla stessa per scansare i rigori della Legge, Maria prese parte a sequestri, rapine, furti, incendi, omicidi. Ciò fino al 23 dicembre 1863, quando Pietro Monaco venne ucciso nel sonno dal suo braccio destro, Salvatore De Marco. In quella occasione, come la donna depose nell’interrogatorio susseguente all’arresto, la stessa pallottola che colpì Monaco al cuore ferì lei al polso. Secondo un poeta e giornalista dell’epoca, Luigi Stocchi, Maria cercò di inseguire gli assassini, poi tornò dal cadavere del marito, lo decapitò (!) e ne bruciò il capo, non tanto per evitare che a farlo fossero i soldati piemontesi, come era loro costume a titolo di sfregio, quanto per lasciare il ‘nemico’ nel dubbio che Pietro Monaco fosse ancora a piede libero. Ciò fatto, si rifugiò sulla Sila assieme al fratello Raffaele, al cugino del marito Antonio e al resto della banda. Per 47 giorni, insieme agli altri, pur ferita, Maria sfuggì alla caccia tenace delle forze dell’ordine. Alla fine, nel febbraio 1864, dopo 48 ore di sanguinoso assedio (Maria e gli altri si erano nascosti in una grotta in luogo impervio a strapiombo sul fiume Neto in località Serra del Bosco nel comune di Caccuri, oggi in provincia di Crotone) la banda dovette arrendersi. Processata per direttissima a Catanzaro, Maria Oliviero si vide sommersa da trentadue capi d’imputazione. Con assoluta calma, confessò solo l’omicidio della sorella, mentre per tutti gli altri reati dichiarò d’esservi stata costretta. La Corte Marziale la condannò a morte. Ma re Vittorio Emanuele le concesse la grazia. La pena fu così commutata in carcere a vita, da scontare nel Forte di Fenestrelle in Val Chisone nel torinese, dove fu rinchiuso anche un numero imprecisato di legittimisti borbonici scampati alla fucilazione. Secondo ipotesi privi di prove, Maria Oliviero si spense a Finestrelle dopo quindici anni di detenzione.

 

Italo Interesse

 


Pubblicato il 30 Agosto 2024

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