Ciccio Gambero da Taranto, il re del ‘pernacchio’
In ‘L’oro di Napoli’ di Salvatore Marotta brilla la chicca di Don Ersilio Miccio, detto ‘Il Professore’. Don Ersilio si guadagna da vivere facendo il ‘posteggiatore’, ovvero strimpellando motivi celebri nei ristoranti. Nelle more vende saggezza. Un giorno gli si presenta una piccola delegazione di quartiere per chiedergli un rimedio contro la tracotanza del Duca Alfonso Maria di Sant’Agata dei Fornari. Il nobilastro quando passa col suo macchinone pretende che la strada sia sgomberata delle masserizie di proprietà della povera gente che vive nei bassi. Il Professore trova il rimedio : il pernacchio (da non confondere – attenzione! – con la pernacchia, che del primo è “forma decadente e di scarsa qualità”. Se il pernacchio viene suonato “come Cristo comanda”, l’effetto è irresistibile. Dopo un breve ‘excursus’ sulla tecnica a riguardo di questo ”strumento d’offesa”, Il Professore dà una dimostrazione. Vivamente impressionati, i delegati ringraziano e corrono tra i bassi a diffondere la buona novella. L’indomani il povero Duca subisce un pernacchio collettivo così devastante da non uscire più di casa in auto. E’ mai esistito un Ersilio Miccio? Non sappiamo. Però di ‘virtuosi’ di questo versaccio il Meridione è sempre stato prodigo. Per esempio a Taranto c’era Cicce Càure (Ciccio Gambero), un poveraccio vissuto tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento. Perché avesse quel soprannome non è chiaro. C’è chi lo attribuisce alla camminata disarmonica ; altri pensano che così fosse canzonato per l’idiosincrasia al lavoro (degradando, invece di andare avanti nella vita, retrocedeva a mo’ di gambero). In effetti viveva di elemosina, qualche volta adattandosi a modesti lavoretti. Male in arnese e un po’ tonto, Cicce Càure non aveva alcun talento ; era un po’ lo scemo del villaggio. Tuttavia un asso nella manica lo nascondeva anche lui : sapeva fare pernacchi colossali, lunghissimi, sonori. Un vero flagello per il bersagliato. Per pochi soldi Ciccio si prestava a colpire. Ingaggiato come fosse un killer da chi intendeva farsi beffe di un rivale o altro nemico personale, Ciccio Gambero seguiva la vittima e attendeva il momento buono. Quando il momento si presentava, il Nostro prima chiamava per nome la vittima e subito dopo (nascosto in un portone o altrove) lo apostrofava come solo lui sapeva fare. Qualcuno lo pizzicò mai? Ci pare probabile, considerata la reputazione che si era costruito. Nel corso della sua ‘carriera’ Ciccio dovette rimediare qualche pagliatone. Anche ingiustamente. Perché se fece ‘scuola’, ebbe anche ‘allievi’ e imitatori. E allora molti si saranno prodotti in quel pittoresco esercizio così bene da spacciare per ‘originale’ un pernacchio in realtà ‘taroccato’. E come la storia del pistolino piscione e del culo che piglia le botte, il povero Ciccio pagò cara la sua ‘arte’.
Italo Interesse
Pubblicato il 23 Luglio 2013