Cultura e Spettacoli

Con la musica si possono vedere mille immagini ad occhi chiusi

Artista, musicista, insegnante all’Accademia di Belle Arti e scrittore.L’abbiamo incontrato, ripercorrendo le tappe della sua vita da musicista.

Che valore ha la musica nella tua vita oggi? Ci sono differenze rispetto agli inizi?

“La musica è una pratica costante fatta, tra l’altro, di fiducia, sicurezza e determinazione. Suonare, più che evadere, è impegno e concentrazione sul da farsi: nell’improvvisazione bisogna sentire di avere tutto “a portata di mano”.La sfida è più ampia quando si usano accordature modali o alternative, e si mettono in atto “diavolerie” tecniche, forse un po’ acrobatiche, fatte proprie con anni di pratica; per esempio, il tapping o l’uso delle armoniche, o la percussività in generale sulla chitarra, specialmente elettrica”.

 

Perché hai preferito la chitarra a altri strumenti?

“La chitarra si è presentata a me senza mezzi termini: la prima volta, quando ascoltai in un negozio di dischi I want to hold your handdei Beatles: la chitarra ritmica di George Harrison mi colpì allo stomaco come un pugno.La seconda volta, quando cercavo timidamente di suonare la Hofner semiacustica di un mio amico e l’amplificatore, troppo vicino, innescò un feedback fortissimo che addirittura mi spaventò per la potenza.La terza volta, quando durante una convalescenza, il suono della Stratocaster che non imbracciavo da un mese, mi resettò i pensieri.Altri strumenti non li ho mai presi in considerazione.A parte una certa simpatia per la batteria o le percussioni in genere, che non ho mai saputo e voluto suonare, ma che contribuiscono, se abbinate alla chitarra, a impiantare una certa sicurezza. A tal proposito, devo confessare che il beat – o i 4/4 del tempo di accompagnamento, per esempio dei brani dei Beatles e dei Rolling Stones, o in genere degli anni Sessanta -, venne messo in crisi profonda dall’avvento della musica fusion con i suoi tempi dispari, per me difficilissimi da assorbire.Fu grazie a un mio amico batterista, che prendeva lezioni e suonava spesso con me, che appresi il modo per praticare con sicurezza tempi dispari sulla chitarra.L’esperienza con Il Baricentro, gruppo che già faceva jazz rock, venne dopo; ma l’aver visto, nel 1975, al festival di Reading, John McLaughlin o Allan Holdsworth, rese tutto più facile”.

 

Dove trovi le fonti di ispirazione per i tuoi pezzi?

“Ogni giorno si presentano spunti di tensione o rilassamento, coinvolgenti o di scarsa rilevanza emozionale. Possono riguardare la salute o lo stato d’animo in generale, o persone care o in ogni caso vita sociale.Aver visto chitarristi famosi, poi, è stata come una scuola: nel 1967 Andres Segovia al Petruzzelli a Bari; nel 1972 Jeff Beck a Londra; nel 1973 Stevie Winwood a Napoli; nel 1975 Barney Kessel al Cinestudio di Bari e McLaughlin e Holdsworth in UK; Terje Rypdal e Robert Fripp a Time Zones; John Mayall e John Abercrombie a Bari e anche Stan Webb nel 1969 al Marquee di Londra.Sulla chitarra, con una buona dose di creatività, si possono alternare mute di corde sottili o più spesse, con rilevanti differenze di tono dello strumento stesso, elettrico o acustico che sia.Si possono modificare le intonazioni delle corde e le suggestioni che ne derivano sono infinite. Per esempio, con l’accordatura detta Nashville, se sulla sei corde si usa solo la porzione “cantina” di una muta da dodici, il suono che si ottiene suggerisce la voce di una dodici corde, pur essendo la chitarra una sei.Con la leva, poi, già con quella inventata negli anni Quaranta da Paul Bigsby e resa impeccabile da Leo Fender nel 1954 con la Stratocaster, si può osare l’imitazione della voce umana.La delicata azione delle molle della leva stessa, grazie al braccio metallico, permette sfumature di note altrimenti non eseguibili, neanche con il classico bending in un blues.Ad integrare la modulazione della leva, specialmente sulla Stratocaster, c’è poi l’uso dello swell sul potenziometro del volume: imita l’attacco di una nota di violino o di strumento ad arco in genere, di cui esempi eccellenti si trovano nella musica del norvegese Terje Rypdal o di Jeff Beck stesso.Con un capotasto mobile, poi, le opportunità sono moltiplicate. La chitarra “si fa suonare” anche con il bottleneck, di vetro, di metallo o, oggi, anche di legno durissimo. Imita la voce di una chitarra hawaiiana che si suonava sulle ginocchia e che, per fare blues, è insostituibile. Da qualche decennio esiste l’E-Bow, un accessorio che, tenuto in mano vicino una corda, ne provoca la vibrazione senza toccarla, semplicemente usando il campo magnetico che genera.Comunque è una liuteria rigorosa che può offrire a una chitarra qualità che ne fanno uno strumento buono o meno.Oggi, rispetto al 1970 quando tenni il mio primo concerto (l’unico di cover della mia vita), sto attento anche al peso fisico di una chitarra elettrica: una Stratocaster di poco più di 3 kg è uno strumento eccezionale. Una chitarra leggera è sempre più apprezzata per qualità timbriche.Elettricamente uso il delay, cioè l’eco, a volte anche il reverbe, e spesso il loop per avere una base – sempre improvvisando -.”

 

Ti hanno definito “poliedrico”. In che modo la musica si collega alle altre forme di espressione artistica?

“Mi hanno definito con un dato solo visivo, come un solido visto solo esternamente, senza considerare ciò che può avere al suo interno. Effettivamente, “poliedrico”, penso non mi si addica. Le arti visive appartengono ad un flusso paradossalmente più libero: si dice che un’immagine valga mille parole, e siamo bombardati da immagini ogni attimo della nostra vita. La musica è più elitaria: deve colpire e la devi recepire, scartando solo il rumore di fondo della quotidianeità (come il traffico, per esempio).La musica che ti entra in testa, se è valida, ci rimane un bel po’ di tempo, prima di far posto a un altro motivo. La musica può entrare nella testa anche con un solo approccio, l’immagine necessita invece di osservazione e meditazione. La musica per me è anche immediatezza.Nelle arti visive l’immediatezza è anche presente, specialmente nell’esecutività del prodotto artistico. Con la musica si possono vedere anche mille immagini con gli occhi chiusi.Il rapporto con le arti visive è in fondo semplice; più complesso è invece quello con la Video Art, in cui si usano immagini in movimento; la musica in questo caso è fondamentale, allo stesso livello del visibile. Infatti, esistono i videoclip musicali frutto di questo equo connubio. Nel mio caso, confesso di aver usato la pratica della Video Art, anche con passaggi di successo (come Mister Fantasy di Carlo Massarini su Rai Uno e numerosi in varie città d’Italia) al fine di veicolare la mia musica.Oggi non pratico più quell’attività, che comunque mi ha insegnato molto.Nel mio caso, la scultura non ha avuto rapporti con la mia musica, nonostante l’impegno profuso (mostra a Piazza della Signoria a Firenze o premio della Regione Lazio a Roma e anche l’idoneità nel concorso a cattedra di Scultura nelle Accademie)”.(Fine seconda parte)

 

 

Antonio Rotondo

 


Pubblicato il 21 Dicembre 2021

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