Primo Piano

Congresso del Pd pugliese da farsi, ma in realtà già concluso tutto a tavolino

Congresso del Pd pugliese da celebrare dal 3 al 12 febbraio prossimo, ma in realtà già concluso a tavolino con la designazione all’unanimità di Domenico De Santis, vice-Capo di Gabinetto del Presidente della Regione, Michele Emiliano. Insieme a De Santis sono stati individuati e designati a tavolino, quindi prima di un sia pur minimo dibattito congressuali, anche i nomi dei sei responsabili provinciali del partito e financo dei segretari cittadini del Pd per le città capoluogo. In pratica il congresso dei dem pugliesi a livello di ruoli e responsabilità interne al partito si è già fatto, prescindendo dai circoli presenti sul territorio e quindi dagli iscritti, che però tra la fine di questa settimana e per tutta la prossima saranno comunque chiamati, a questo punto, solo a votate e, quindi, a ratificare ciò che è già stato deciso dai vertici locali a prescindere dall’eventuale dibattito e confronto congressuale interno. In passato – come gli addetti ai lavori ben sanno – si verificò un’operazione congressuale analoga per l’elezione dell’uscente segretario regionale, Marco Lacarra. Infatti, come si ricorderà, il rituale fu praticamente lo stesso. “Allora – si stanno già chiedendo in questi giorni alcuni nostalgici di sinistra e, forse, ancora convinti di una presunta superiorità morale e democraticità interna della parte politica che li rappresenta – che cosa consiste il tanto sbandierato cambiamento, in questo congresso che sta per iniziare venerdì prossimo?” Forse nel fatto che altri partiti politici attuali i congressi farsa non li celebrano nemmeno, perché l’esistenza stessa di questi si fonda essenzialmente su una figura leader, che identifica essa stessa il partito e che distribuisce i ruoli a suo piacimento, senza passare da alcun confronto democratico interno. Insomma, partiti uni-personali che non hanno la necessità di alcuna dialettica interna, perché la linea politica è dettata dal leader e conseguentemente quest’ultimo è anche il “partito”. Invece, il Pd pugliese per come ha scelto la sua classe dirigente, ossia con designazioni fatte a tavolino sulla base di accordi che prescindono dal dibattito e dal voto dei circoli, sembra essere un partito pluri-personale, ma pur sempre una sigla politica che, per metodo, risulta gestita in maniera quasi padronale e non come una comunità politica. Nella nostra regione, inoltre, la gestione del Pd è ancora più paradossale, se si pensa che uno dei “padroni” di detto partito (il maggiore) è addirittura un non iscritto allo stesso e che da “impedito”, per ragioni professionali, è in realtà quello che di fatto ne determina le scelte e chi deve gestirlo con nome altrui, ma in suo conto. Sintomi, questi accennati, che sono la degenerazione di un sistema elettorale che nel nostro Paese ha portato al degrado istituzionale dei partiti e, quindi, anche all’essenza democratica delle istituzioni, nelle quali sempre più spesso non figura più il “bene comune”, ma quello di pochi. Ma, tralasciando questo aspetto che porterebbe il discorso su un  binario da quello iniziale, torniamo alla cronaca politica per rilevare che la tanto sbandierata “svolta” dei dem a livello locale e nazionale, dopo la recente e cocente sconfitta elettorale dello scorso fine settembre, in Puglia, stante ai fatti innanzi accennati, finora si è vista. Infatti, vien da domandarsi: “Come è possibile parlare di ‘svolta’ se i modi ed il metodo di celebrare un congresso è lo stesso delle volti precedenti?” Ovvero, una svolta che è ancora una volta frutto di accordi precostituiti tra gli stessi “capi bastone” presenti da circa vent’anni sulla scena e che pur avendo occupato, con accordi trasversali, i più importanti posti di potere locale, da altrettanto tempo non riescono a vincere una tornata delle politiche neppure nei loro rispettivi feudi elettorali. Quindi, fino a quando le svolte e le novità consisteranno solo nei nomi e non nei metodi, difficilmente ci saranno inversioni di tendenza, perché a fare presa a livello locale continuerà ad essere il clientelismo politico di chi detiene le leve di comando, ma a livello nazionale (politiche ed europee) determinanti saranno i dettami e gli umori contingenti di un elettorato sempre più fluido e forse sempre meno affezionato alle urne. E se il partito oggi di Enrico Letta, ma che dopo il 26 febbraio prossimo sarà verosimilmente di Stefano Bonaccini o Elly Schlein, o in via più improbabile di Paola De Micheli o Gianni Cuperlo, si illude ancora una volta di poter dare una “svolta” alla sinistra italiana partendo dai nomi e non dai programmi, seguendo pertanto l’esempio congressuale messo in campo dal Pd pugliese, allora sarà davvero difficile ipotizzare a stagioni politiche molto diverse da quelle che abbiamo alle spalle non soltanto per i Dem, ma anche per l’intero nostro sistema democratico. Un sistema che – come è noto – rischia ormai di collassare insieme al collasso del sistema dei partiti, purtroppo non più fatto di ideali, programmi e visoni politiche da attuare, ma solo da nomi e poltrone da occupare unicamente  – come ebbe occasione, un tempo ormai remoto, di ammonire Aldo Moro  –  al sol fine del “potere per il potere”. Ma in quest’ottica non è la “Politica” a prevalere, ma solo gli “affari”.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 31 Gennaio 2023

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio