Cultura e Spettacoli

Consumare l’Oriente. Ma il “Sumi-e” è più forte

Sumi-e è il nome dell’antichissima pratica di pittura all’inchiostro di china su carta di riso. Quest’arte, di origine cinese, non mira a superare concorrenti, bensì ad affinare la sensibilità e definire uno stile personale, di modo che la rappresentazione, ad esempio di una foglia o di una roccia, sia frutto di un gesto fluido, nel quale trovi sbocco il più felice coniugarsi di postura, respirazione e stato mentale. Non è cosa di tutti i giorni che un praticante del Sumi-e conceda di esibirsi in pubblico. Ciò è successo nel corso dell’appena concluso Festival dell’Oriente, questa incursione fra artigianato, gastronomia, folclore, arti marziali e medicina naturale che per due fine-settimana ha impegnato gli spazi fieristici. Allievo del maestro Beppe Mozuka Signoritti, Alessandro Sarotto ha fatto ‘danzare’ il suo pennello per una decina di minuti sotto le suggestioni di un flauto. Il risultato? Una semplice canna di bambù in mezzo a poche foglie. Un segno grafico lieve e sicuro, dolcemente ispirato, espressione perfetta della forza delicata di questa pianta, nella quale si rispecchia il carattere del saggio. E’ pittura che eccita lo spirito del risveglio, ha spiegato Sarotto al termine. Gli si può credere, benché la condizione ambientale facesse pensare tutto il contrario. Sarotto dipingeva immerso in un coacervo obnubilante di suoni, odori e colori, questo ciondolare di gente fra stand, i più affollati dei quali erano quelli a carattere gastronomico. Un pubblico eterogeneo, spesso allegramente impiastricciato in viso e persino sulle vesti di colori innocui impressi in uno stand all’ingresso (ma talora questo gioco ha avuto esiti tragicomici, se non sgradevoli quando il ‘trattamento’ produceva l’effetto-tumefazione). Migliaia di visitatori curiosi ma non più che dello stereotipo, a proprio agio in questo clima festaiolo e scopertamente commerciale, un pubblico invulnerabile alle molte e plateali incoerenze di questa manifestazione (ha un senso offrire in vendita il coltellaccio di Rambo accanto alla Katana o la birra accanto ai più raffinati tipi di tè?). Tornando al Sumi-e, il saggio offerto da Sarotto, e del quale pochi sono stati i testimoni, ha del prodigioso, non per la qualità comunque levata del gesto artistico, quanto per la strisciante lezione zen che innervava lo stesso gesto. Perché dipingere ‘quel’ bambù significa aver fatto il vuoto dentro e intorno a sé  sino a diventare impermeabile al caos (dannoso) prodotto da un pubblico ‘consumatore’. Un caos non lontano da quello non meno dannoso che inquina l’uomo comune sul posto di lavoro, nel condominio in cui vive, lungo la strada dove si sposta… Se l’impresa di Sarotto non è Zen, gli si è molto avvicinata.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 11 Ottobre 2016

Articoli Correlati

Back to top button