Cosa si nasconde dentro il frigo?
Brutto affare per un’indossatrice – che non sappia fare altro – superare l’età delle passerelle. Si va subito fuori mercato. Allora, dopo aver sfilato per anni ai limiti dell’anoressia, si fa presto ad andare anche fuori di testa. Il tema è al centro di ‘Il frigo’, un atto unico scritto nel 1983 da Raul Damonte Botana, altrimenti noto come Copi, un drammaturgo argentino che si è spento una trentina d’anni or sono. Diretto da Andrea Adriatico, il testo è stato portato in scena da Roberto Maurizio Coatti (in arte, Eva Robin’s) nell’ultimo fine settimana al Van Westerhout di Mola. Presenza invadente, l’elettrodomestico (un imponente Zoppas anni sessanta scorticato di ogni lucentezza) qui funge solo da innesco al delirio di una donna rimasta sola e convinta che questo frigorifero, apparso dal nulla e che forse vede solo lei, sia il regalo della madre per il suo cinquantesimo compleanno. Una folla di personaggi si avvicenda sulla scena in una parata del grottesco in cui la dimensione del sesso – chiamato in causa con una certa ossessione – si presenta ora sofferta, ora inquietante, ora violenta. Una governante, un autista, una madre, una psichiatra, persino un cane, un topo e un fantasma fanno irruzione a turno in mezzo a spunti comici segnati a volte da un’amarezza greve, altre volte da un’ironia gustosa (efficaci le pose da fotomodella che con stile da diva del cinema muto la protagonista di tanto in tanto assume forse nell’illusione d’essere ancora su un set). Il frigorifero è presenza totemica assai forte, quantunque ‘periferica’ rispetto al centro dell’azione. Mette curiosità. Cosa si nasconde al suo interno, lo scheletro di una madre, di un domestico, un medico, una animale…? Una sola volta la protagonista prova a schiudere lo sportello : se ne ritrae inorridita e chiude. Che lo Zoppas nasconda invece la Verità? Non dev’essere uno scherzo per una donna taroccata, a un certo punto della vita, vedersi buttata in faccia tutta la propria inettitudine a vivere. Inettitudine dagli aspetti disparati, che dall’inettitudine a metabolizzare il rifiuto di una madre verso il figlio frocio vanno alla difficoltà a spogliarsi dei protettivi panni di femme fatale e infine all’impotenza nel raccogliere sé stesso/a al momento del ‘dopo’, tirare le fila di una vita di sfilate e scatti fotografici e lasciarne traccia autobiografica. Una Robin’s generosa, versatile, trasformista e ben diretta da Adriatico, domina la scena senza sforzo. Non più che discreta la scena disegnata da Andrea Cinelli con la consulenza di Maurizio Bovi. Migliori i costumi, individuati da Andrea Cinelli nel vasto repertorio vintage di A.N.G.E.L.O. Buona l’accoglienza della platea.
Italo Interesse
Pubblicato il 21 Settembre 2016