Cultura e Spettacoli

“Da molto tempo non parlo con la mia terra…”

In un bar di un non identificato posto della Sicilia, il che già ne fa un luogo metafisico,  fa ingresso un giovane ‘continentale’. Curioso della terra sicula e della sua gente, il forestiero entra in conversazione con gli avventori i quali si sentono subito in dovere d’illustrargli il mondo a cui appartengono. Lo fanno con brio, fra scherzo ed ironia, parlando in prima persona, cioè non nascondendo sentimenti personali. E poco a poco l’amore, il tormento, l’ambizione e il disincanto prendono la voce dei maggiori scrittori siciliani. Così, Verga, Pirandello, Sciascia, Quasimodo, Tomasi di Lampedusa ed altri autori ritrovano voce…  E’ questo l’incipit di ‘Da molto tempo non parlo con la mia terra’, un testo di Fabrizio Catalano. Nipote del grande Sciascia, Catalano confeziona uno spettacolo che non pretende d’essere un’antologia di letteratura siciliana bensì un gesto d’amore verso una terra ingiustamente penalizzata da alcuni stereotipi e corrosa dal fenomeno mafioso, perciò in declino, tuttavia vitale, ancora capace di riscatto. Lo spettacolo andrà in scena al Piccolo Teatro Eugenio D’Attoma venerdì 6 e sabato 7 alle 21, domenica 8 marzo alle 19. Ne è protagonista Maurizio Nicolosi, noto attore catanese che nel suo percorso artistico ha lavorato, oltre che in teatro, in numerose fiction (Il tredicesimo apostolo, Squadra Antimafia, Il capo dei capi) e film (I cantastorie, La Bella società, Storia di una capinera, L’ariamara 4). Con Nicolosi sono in scena Paolo Gattini, Goffredo Maria Bruno, Giada Colonna e Alessio D’amico. Produzione Le foyer doré. “Da molto tempo non parlo con la mia terra e questa potrebbe essere una lettera d’amore sollecitata da una, due case, da un brano di mare d’una spiaggia lontana..”. Comincia così una riflessione di Salvatore Quasimodo, l’autore siciliano al quale forse più che a tutti pesò l’abbandono della terra madre. Abbandono che si tradusse nel languore acuto di cui s’intrise il suo verso. Lo stesso languore che ora manifesta una Sicilia ferita e muta. C’è comunque margine per la speranza. “Io credo nei siciliani che parlano poco, nei siciliani che non si agitano, nei siciliani che si rodono dentro e soffrono”, scriveva Sciascia una trentina d’anni fa. Scriverebbe le stesse cose oggi? A Catalano piace immaginare di sì. Di qui il senso di uno spettacolo che è come un guizzo di speranza , uno scatto d’orgoglio, un reattivo colpo di coda che nessuno si augura estremo. Un antico detto latino recita : Nec tecum possum vivere nec sine te. Ovvero : non posso vivere con te, né senza te. Se queste parole da sempre sintetizzano il sofferto rapporto fra Sicilia e siciliani, ebbene che d’ora in avanti non abbiano più ragion d’essere.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 5 Marzo 2015

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