Cronaca

“Da un anno e mezzo non vediamo nostro figlio. E non ci dicono dov’è”

 
Lui serbo, clandestino, senza permesso di soggiorno; lei bulgara, invalida al 100%, affetta da distrofia muscolare. Vivono, o meglio sopravvivono, in una catapecchia di due stanze, senza bagno né doccia, con un fornello che funge da cucina e un materasso sommerso da roba vecchia. Con loro c’è un cane che gli tiene compagnia. Dopo aver avuto il piccolo Leonardo, il 5 maggio dell’anno scorso, hanno però deciso di rifarsi una vita, andando via da Bari dopo cinque lunghi anni di assoluta indifferenza da parte degli assistenti sociali, del Comune di Bari e dell’Ufficio Immigrazione. Si sono trasferiti in Calabria, a Vibo Valentia, da una seconda figlia di Mladenova Zhaneta (questo il nome della donna) dove una casa ricca di tutti i comfort disponibili, li attendeva. Un lavoro per lui, una vita felice. Fino a quando sono arrivati loro, gli agenti di Polizia, che hanno strappato via il figlio d’appena un anno e mezzo. Da allora sono trascorsi sei lunghi mesi, durante i quali i due genitori non hanno saputo più nulla del loro amato figlio. Lui, Sali Muhamed, ha rinunciato al lavoro trovato nella provincia calabrese ed insieme alla sua compagna, è tornato a Bari, dove ben presto sono stati raggiunti dai genitori di Zhaneta. “Quando il bambino è nato, siamo andati all’Ufficio Anagrafe per dichiarare la sua nascita, ma lì me l’hanno impedito, dicendo che il piccolo non poteva essere dichiarato. Dopo un anno, abbiamo deciso di trasferirci a Vibo Valentia, dove mia figlia di ventidue anni ha una bella casa, dove avrebbe potuto ospitarci. Ma dopo otto mesi è arrivato il provvedimento dal Tribunale dei Minori di Bari. L’assistente sociale s’è occupata sin dall’inizio di noi e della nostra situazione, ma non ha fatto praticamente nulla. Ci ha tolto nostro figlio e ha nominato un tutore. Da sei mesi non sappiamo dove si trova nostro figlio. Mi sono persino rivolta ad un avvocato – ha sostenuto affranta Mladenova Zhaneta – nella speranza che possa aiutarci a risolvere il caso. E più volte sono andata dal Sindaco di Bari, per ottenere qualche risposta. Ma nulla”. Tutto tace, mentre loro continuano ad urlare. Un dramma sociale come tanti, ma reso più complesso e drammatico dalla presenza di un minore che da sei mesi non vede più i suoi genitori. “Qui da noi, ora ci sono anche i genitori di Zhaneta, a cui abbiamo tentato di affidare il nostro Leonardo, ma non hanno accettato. In Serbia, come anche in Calabria avevo trovato un lavoro che mi permetteva di sostenere la mia famiglia. Lavoravo come giardiniere, muratore, lavori umili che mi permettevano di vivere dignitosamente. Ora mi manca qualcosa, ho un grande vuoto che può essere riempito solo da Leonardo”, queste le parole di Sali Muhamed, il papà del minore, compagno di Zhaneta. Sulla relazione presentata ai genitori dal Tribunale, le motivazioni che hanno indotto al “rapimento” del piccolo sono tante, ma tutte false, come confermato dalle parole dei due compagni. Il mutismo ostinato in cui s’è rinchiusa anche l’assistente sociale quando l’abbiamo contattata non migliora di certo la situazione, che appare poco nitida e per nulla precisa. Secondo il giudizio del Tribunale dei Minori, quella non poteva essere considerata la famiglia adatta per far crescere Leonardo, una famiglia che vive di accattonaggio, con un padre violento nei confronti della sua compagna. “Ma tutto questo non è assolutamente vero, Zhaneta non può lavorare, ma io sì e non mi pesava farlo, non ho mai chiesto le elemosina per la strada e non ho mai alzato neanche un dito nei confronti della mia compagna”. L’avvocato Enzo Rizzo, legale della famiglia, s’è dimostrato disponibile nel dare informazioni utili al fine di comprendere meglio la situazione, “purtroppo, gli assistenti sociali in casi come questo, hanno potere di vita e di morte, possono scrivere quello che vogliono; d’altra parte il giudice non può fare altro che attenersi a ciò che legge”. Dunque, non sappiamo ancora bene dove risieda la verità, quello che è certo è che le condizioni in cui sopravvivono i due compagni, sono incredibili. Un’abitazione fatiscente verso la periferia nord dalle parti dell’ex stadio, nel mezzo del nulla, senza neanche un bagno, nonostante l’invalidità certificata della donna bulgara, per questo europea. La storia d’una vita di sofferenze e di dolore, a cui si aggiunge altra frustrazione ed ingiustizia.
 
Nicole Cascione
 
 
 
 
 


Pubblicato il 13 Dicembre 2011

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