Dagli al tonno!
Una volta i tonni erano così numerosi nello Ionio pugliese da giustificare l’esistenza di tonnare fisse, ovvero sistemi inamovibili di reti disposte verticalmente e a imbuto collocati nei bracci di mare più prossimi alla costa dove il passaggio dei tonni in branchi era frequente. Non si hanno invece notizie di tonnare nel nostro Adriatico, mare avaro di tonni, salvo che in alcuni specchi d’acqua della Dalmazia, dell’Istria e di Trieste, dove fino al primo Novecento fu attiva complessivamente una quindicina di impianti. Ma Filippo Briganti, uno storico pugliese vissuto tra il 1724 e il 1804, sostiene che gli Japigi si dedicavano alla pesca ‘errante’ del tonno. La pesca errante può dirsi l’antenata dell’unica forma di caccia al tonno oggi praticata (nella ‘tonnara volante’ le reti di circuizione vengono calate dopo che i branchi sono stati intercettati per mezzo di eco-scandagli e sonar). Questo metodo di pesca era praticato lontano dalla costa per mezzo di un complesso mobile di reti che venivano calate da barche disposte a triangolo, ma con un lato aperto (quello opposto al senso di navigazione). S’immagini allora la pazienza, la tenacia e la fatica richiesta a uomini costretti a ‘setacciare’ a forza di remi specchi d’acqua affidandosi unicamente all’esperienza e alla vista acuta dei compagni issati in cima all’unico albero di queste imbarcazioni. Quando finalmente i tonni venivano individuati, la piccola flotta manovrava in modo da porsi sulla verticale di rotta del branco. A quel punto il capo flottiglia comandava di rallentare gradatamente il ritmo di voga mentre l’angolo del vertice si allargava per intrappolare la preda. Una volta che i tonni erano caduti in questa specie di imbuto, il lato aperto della formazione si richiudeva e così cominciava la mattanza. Quanto poteva rendere un sistema di pesca così rudimentale? Incredibilmente, molto. E questo, per un semplice motivo : la straordinaria pescosità dei mari dell’era precristiana. Una pescosità oggi impensabile per mari i cui fondali, già distrutti dalle reti a strascico, ospitano discariche anche tossiche. Mari dove la pesca ha assunto cadenze industriali e dove i reflui venefici degli impianti industriali – in ‘alleanza’ con inquinamento acustico e persino elettromagnetico – fanno il resto. Tornando alle tonnare fisse, quelle pugliesi erano installate nel golfo di Taranto. Di quest’ultime la più importante era quella di Gallipoli. Molto attive furono anche le tonnare di Porto Cesareo, di Sant’Isidoro e di Porto Cesareo. – Nell’immagine, ‘Una mattanza in Sicilia’, acquaforte del 1782 di Jean-Pierre Houël.
Italo Interesse
Pubblicato il 2 Maggio 2018