Cultura e Spettacoli

Dal biroccio al tre ruote

Fino a che la locomozione meccanica non prese il sopravvento, il biroccio o barroccio (da noi : ‘il traino’, italianizzando dalle molteplici varianti dialettali) è stato il più diffuso modello di carro agricolo. Classico veicolo a trazione animale (cavallo, mulo o bue – vedi immagine), il biroccio vanta origini remotissime. Di sicuro era noto ai Romani. La parola biroccio infatti deriva dal latino ‘birotium’ o ‘biroteus’, ovvero : mezzo ‘a due ruote’. Nonostante l’origine millenaria, il biroccio è giunto ai tempi nostri praticamente intatto : Rudimentale, robusto ed efficiente, poteva trasportare uomini e cose anche sulle carrarecce più accidentate. Non lo fermavano la neve, il fango, l’acqua (almeno fino a quando l’animale riusciva a tirare). A renderlo inarrestabile era l’enormità delle ruote. Cerchiate in ferro e composte da dodici raggi, le ruote dei birocci superavano l’altezza delle sponde del pianale ; il diametro generalmente era di 190 centimetri). Quest’accortezza consentiva tra l’altro di ammortizzare meglio gli scossoni inevitabili sulle strade di campagne, così salvaguardando le merci e riducendo i disagi dei viaggiatori. Un mezzo primitivo, spartano. A completarlo erano le stanghe, cui veniva agganciata la bestia, un freno a ceppi azionato a mano (martinicca), una forcella in legno da utilizzare quando staccato l’animale si voleva che il biroccio restasse parallelo al suolo, un lume a petrolio che veniva attaccato sotto il pianale e infine una struttura metallica a capannina sulla quale veniva gettata un’incerata a tutela di cose e gente. Per quanto essenziale, però, il biroccio richiedeva maestranze piuttosto qualificate per essere costruito ; per esempio, per la lavorazione del legno, che componeva il mezzo al 95% serviva un falegname specializzato, detto carradore. Queste esigenze tecniche non facevano del biroccio un bene alla portata di tutti. E il prezzo saliva se si metteva a mano a intagliatori e pittori. Allora il carro agricolo evolveva in opera d’arte. Più dell’intaglio era il lavoro di pittura il punto di forza estetico. Sobri o fantasiosi, i decori si allargavano dalle sponde ai raggi e alle stanghe a seconda del piacere (e della disponibilità) del committente. Quanto ai soggetti, si andava da motivi geometrici ad arabeschi fioriti, da lune, angeli e mostri mitologici alla rappresentazione di scene del ciclo epico-cavalleresco (un tema, quest’ultimo, tipico del biroccio siciliano). Gli ultimi esemplari di quest’altra espressione della civiltà contadina erano in circolazione sulle strade pugliesi ancora negli anni cinquanta. A sostituirli, furono i tre ruote. Per vedere qualche biroccio bisogna recarsi in un museo o sperare in qualche sagra rievocativa dei vecchi tempi, quando gli ultimi esemplari sfuggiti allo smantellamento ed accuratamente restaurati vengono messi in mostra. Valgono una fortuna.

 

Italo Interesse

 

 


Pubblicato il 26 Gennaio 2021

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio