Cultura e Spettacoli

Dal dolore alla gioia, possibili ‘transizioni’

Aveva promesso che avrebbe denunciato “verità nascoste, omocrazie e nuove ipocrisie”. Lo ha fatto giovedì scorso al Teatro Duse al cospetto di un centinaio di persone. ‘Transizioni’, questo il nome dello spettacolo, ha visto per un’ora Fabio Cursio Giacobbe dare la stura ad una vis polemica intrisa di rancore e forse da tempo era in attesa di venire allo scoperto. La vita è complicata e l’umanità non funziona, di qui un malumore diffuso a cui fa da valore aggiunto un approccio di scadente qualità al sesso. Intorno a questo tema, Giacobbe intesse una filippica che periodicamente si riversa anche sul pubblico, tirato in causa con brutale confidenza. A proposito di sesso, Giacobbe – con sottile piacere – chiama le cose col loro nome. Parole che, almeno quando pronunciate in pubblico, vengono per tradizione ritenute scottanti o peccaminose, sono qui ripetute, anzi vomitate sulla platea decine di volte. Ciò nell’idea – non peregrina – che solo la ripetizione seriale svuota del guscio conformista parole scomode. Guardando le cose dal punto di vista maschile – e facendo timidi tentativi d’immaginare lo stesso problema dall’opposta angolazione – Giacobbe punta l’indice sui guasti di un cattivo approccio al sesso. Fa questo con crudezza rabbiosa, dando voce in proposito al grossolano pensiero che accomuna un popolo di uomini (e probabilmente d’un ancor più alto numero di donne). Tra le righe ‘Transizione’ sembra dire questo, involontariamente, chissà : Per piacere, basta col peccato originale, sbarazziamoci di quest’urgenza primordiale (il sesso), urgenza degna della stessa attenzione riservata alla fame e, finalmente rilassati, torniamo alle cose serie : l’amore, il lavoro, la pace. Solo così l’umanità dovrebbe riuscire a mitigare i danni dell’esistere, danni cui persino l’uomo più volenteroso e capace stenta a porre rimedio. Ovviamente in tutto questo non poteva non essercene anche per Dio e per le sue Scritture. Il primo subisce tirate d’orecchio, le seconde vengono sbeffeggiate… Uno spettacolo deliberatamente ruvido, che non fa sconti, che vuol essere scomodo, anche antipatico, persino sgradevole. In buona parte vi riesce, ‘Transizioni’ si muove nel solco di una consolidata tradizione che dai giorni lontanissimi di Lenny Bruce (nell’immagine) arriva a quelli di un Paolo Rossi. Con la differenza che ai tempi di Bruce era ancora possibile sconvolgere, scandalizzare, lasciare il segno, insomma. Oggi un Rossi diverte, fa anche pensare, ma una volta abbandonata la platea lo spettatore è già stato riacciuffato del quel senso d’assuefazione e d’impotenza che mortifica il pensiero dell’uomo contemporaneo lasciandolo prostrato, sconfitto, svuotato di speranza. La stessa cosa accade con ‘Transizioni’, nonostante il grande affannarsi del bravo Giacobbe.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 24 Settembre 2019

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