Cultura e Spettacoli

De gravis indignationis rebus, motivi di significativa indignazione (6)

“Noi giovani”, Sento, spesso, ripetere con stucchevole, vanesia, spocchiosa alterigia  ”ab iis qui iuverunt atque iuvant rem pubblicam” in vari modi nel passato e nel presente, consapevolmente o meno; liberamente o ché coartati dai padroni di essa. Ad esempio, proprio per entrare, subito, “in medias res”, cosa dire dell’assemblea e picchetti organizzati dagli 800 studenti (???) dell’istituto tecnico “Pasolini” in milano (fosse Stato, ancora, in Vita, “IL CORSARO” avrebbe Indirizzato la sua Impagabile Stizza nei confronti di codesta adolescenza che con masochistica fannullaggine non Semina nel presente nulla che possa “pro ea”, in suo favore, dare Frutti nel futuro. Pur di non fare Lezione, essa s’inventa i più improbabili o i meno plausibili pretesti) contro la circolare firmata dal preside per richiamare i lazzaroni della sua scuola al rispetto dell’orario d’ingresso, dal regolamento d’istituto fissato per le 8.10 con la tolleranza di 10 minuti. A dispetto delle regole, tanti fannulloni si fermano “fuori, davanti al portone” ed entrano in classe, quando a loro garba, disturbando, incessantemente, l’”attività didattica”. Come ho in altri miei Scritti Ribadito, i nostri fantoli con la “pancia piena” hanno scoperto la forza del numero, non per Aiutarsi, a vicenda, ad Essere, Individualmente, Aquile,”sed” per sostenersi, a vicenda”, avendo l’umana insensatezza sposato e, simil piccioni, in stuolo, stazionano a terra, in basso, colmandolo di una coltre di “popò”. Bisogna stigmatizzare che non danno prova di avere decenti attributi i dirigenti scolastici della “buona scuola” renziana che, nonostante siano stati da renzi gratificati di poteri da ducetti, poi, il passato ripassando, impauriti dall’agrezza dei picciotti, dal ’68 del secolo scorso in rivolta, con il consenso sperticato dei loro irresponsabili parenti, anch’essi “senza zebedei”, si calano le braghe e supplicano i rappresentanti dei sanculotti di ”fare proposte” per risolvere i problemi da essi stessi creati, chiedendo, quasi, scusa, in lagrime, di aver preso la penna in mano e scritto una circolare in cui, urbanamente, loro si chiedeva di essere puntuali con i loro insegnanti, come sono, magari, puntuali con le loro morose o morosi. Mai, Andare alla Radice Greca di una parola italiana, è stato più acconcio, più consono al mio Discorso ”in itinere”! Infatti, ”moros”, in Greco, significa “sciocco”, idiota e tanto altro di, umanamente, negativo. Pertanto, quintali di ciccia, culturalmente, inerte, domani non sarà utilizzata dall’ ”establishment” della repubblica in cui, per l’accidia, l’infingardaggine delle classi subalterne, non vi sarà, come non v’è oggi, mobilità sociale e la “res publica”, rimarrà, qual, oggi, rimane, mafiosamente o massonicamente, “cosa” dei soliti noti che se la trasmetteranno, come se la trasmettono, oggi, ereditariamente, di essa facendo strame e delle masse sonnecchianti che si sentono appagate,  si eccitano, raggiungendo l’”acme sessuale”, se una ciurma, da esse mitizzata, di mercenari pallonari vince un campionato di calcio? Niente di nuovo dal passato in cui le masse, tacitate  dalle elargizioni di farina da parte del senato o del console o dell’imperatore, e dalla facoltà, da essi concessa, di decidere della vita o della morte del gladiatore sconfitto nell’arena del circo, dimenticavano, dimenticano che erano, sono da esse partoriti gli eroi morituri in guerra, mentre esse poltrivano, poltriscono, non in un Insieme di (Dis)umane Particolarità, sebbene in una poltiglia mefitica di “signorsì” alla “voce” che contava, conta e che a loro, coattivamente, suggeriva, suggerisce, perfino, come si dovesse, si debba nell’alcova fornicare; come, quando, dove  ingaglioffirsi nel “tempo libero”. Niente che possa essere spartito tra  l’ingaglioffirsi telecomandato dei massificati e l’ingaglioffirsi, ad esempio, di Machiavelli (nell’esilio di San Casciano) che di mattina, in visita all’”hosteria”, univa al dilettevole sollazzo morigerato di un bicchiere di vino l’utile di parlare con gli avventori di/in essa e di domandare loro  “delle nuove de’ loro paesi”; di intendere “varie cose”; di notare “varii gusti e diverse fantasie d’homini”. La giovinezza, quindi, non apparteneva (medesimamente, non appartiene, oggi) nell’antica roma ad una classe d’età, ma alla presunta capacità, tutta fisica, pur “sine cerebro”, del ”civis romanus” di “giovare”, dai 18 ai 45 anni, alla “res publica”: producendo carne da macello che potesse riempire, infoltire le legioni (sin dalla fondazione di roma il tempio di giano fu, sempre, aperto ché l’urbe fu, continuamente, in arme, tranne che per brevi periodi, in cui essa fu in pace al suo interno e all’esterno di essa per mare e per terra. Inoltre, la Storia Si ripete: mussolini, sapendo che lo sbocco dell’imperialismo fascista non poteva che essere la guerra, per approvvigionarsi di militi, prometteva 5mila lire alle coppie di sposi con figliolanza numerosa); sopportando le pesanti arme e armature  (il gladio, l’asta, il giavellotto, la corazza) nelle innumeri guerre, battaglie in cui egli fu costretto ad affaccendarsi. Data la non lunga aspettativa di vita, il “civis romanus” diventava “senex”, appena, superati i 45 anni. “Vidi presso di me un veglio solo, /degno di tanta reverenza in viso, /che più non dee a padre alcun figliolo”. Con questi Versi di Struggente Icasticità Dante Annuncia il suo Incontro all’ingresso del Purgatorio con Catone Uticense, che la Vita aveva Rifiutato, per non essere un suddito di cesare. Catone aveva appena superato i 45 anni, quando Si suicidò, eppure, ecco la Descrizione, che di Lui ci fa Dante: ”Lunga la barba e di pel bianco mista /portava, a’ suoi capelli somigliante, /de’ quai cadeva al petto doppia lista”. Non rare volte, con immenso rammarico MI Accorgo di Rivolgere il mio Accorato Pensiero alla innumerabile quantità e qualità di giovani che, non so determinare da quando, su tutte le zolle del pianeta, fino ai nostri giorni, si sono tra loro trucidati, si trucidano ché forzati dai detentori del potere (singoli, da classi egemoni delegati) nelle loro rispettive repubbliche, per “avarizia” gli uni contro gli altri armati. La pubblicità delle repubbliche, degli stati, delle patrie è stata, ognora, circoscritta a minoranze a fronte di maggioranze, in ogni caso, comunque, di servi e la coscrizione obbligatoria dei giovani, per la maggior parte appartenenti alle classi subalterne, ché andassero, vadano a morire, pressati da cause, da interessi non loro, non della loro classe, veniva, viene in molti paesi edulcorata da intellettuali, scrittori, poeti, organici al potere, con la favola bella che ”dulce et decorum fuisse, esse pro patria mori”. Per evitare che s’innalzassero, s’innalzino i patiboli o si formassero, si formino plotoni di esecuzione (La prima guerra mondiale, alla quale l’italietta partecipò con le nazioni  dell’”Intesa”, fu fatta passare, dai “media” del tempo, quale guerra di popolo per la liberazione dal servaggio austro – ungarico di trento e trieste. Miserabile menzogna, testimoniata dalle condanne a morte e a lunghi anni di galera comminati dai tribunali militari ai contadini meridionali, accusati di diserzione o di scarso coraggio durante le operazioni belliche. Per non parlare della “decimazione” dell’esercito italiano, schierato sul “Carso”, dopo la sconfitta di “Caporetto”, ordinata dal re)  per il reato di renitenza alla chiamata alle armi, c’era, c’è la confezione dell’immagine della patria, “ad usum stultorum”, da parte delle penne cortigiane, dissolta in un’entità materna malata, in crisi, che abbisognava, abbisogna del sacrificio dei suoi figli, più giovani e, se possibile, più, socialmente, scalcagnati. Nel 1916 in un tema in classe sul verso oraziano: ”dulce et decorum est pro patria mori”, il Giovane Studente Bertold Brecht  Espresse un Giudizio negativo sulla morte eroica, Affermando tra l’altro: ”Il detto che dolce e onorevole è morire per la patria può essere considerato solo come propaganda con determinati fini (…). Solo degli stupidi possono essere così vanitosi da desiderare la morte, tanto più che pronunciano simili affermazioni quando si ritengono ancora lontani dall’ultima ora. Ma quando la comare morte si avvicina, ecco che se la squagliano con lo scudo in spalla, come fece nella battaglia di Filippi il compositore di questo verso, il grande giullare dell’imperatore”. Il 23 giugno del 1930 Brecht a berlino Mise in Scena, per la prima volta, il Dramma Didattico, Interpretato da Studenti (Quelli Veri, non i meschini “posa culi” sui banchi delle scuole italiettine, a cui, prima, ho Accennato),  dal Titolo “Il Consenziente”. Ecco una breve Sinossi del Dramma: per una preoccupante pestilenza c’è bisogno di medicine e precetti e un Maestro Si propone di organizzare una spedizione in alta montagna, ove solo essi possono essere reperiti. Un suo discepolo Lo prega di poterLo accompagnare nella speranza di ottenere medicine per la madre ammalata. A causa della pericolosità del difficile viaggio, il ragazzo si ammala per la via. Il maestro e i suoi compagni, ubbidienti alla “Grande Usanza”, gli comunicano che saranno costretti a gettarlo nella valle. Il ragazzo acconsente e i suoi compagni, pur imprecando alla implacabilità delle leggi, eseguono il rituale “diktat” della “Grande Usanza”. Il dramma non riscosse unanime approvazione, in quanto si temeva consigliasse  il “placet” ai doveri imposti da un’autorità, autocraticamente,  balorda e alla guerra. Brecht, Ritenendo Fondate le Critiche, Scrisse un altro Dramma, dal Titolo “Il Dissenziente”, che Volle fosse Rappresentato insieme al “Consenziente”, assolutamente, Identico a quest’ultimo, ”sed” con il Finale Diverso. Cioè, il ragazzo, si Ribella alla “Grande Usanza” e Dissente dall’essere gettato nella valle. I due Drammi Didattici, Posti da Brecht in una Situazione Dialettica, ci Ammoniscono che, per Risolvere il Problema Etico e Politico del Bene del Singolo e della Collettività, bisogna Teleologizzare  il nostro Agire all’Arricchimento Culturale, Spirituale della nostra Individualità, dell’ “Ego” nostro e  MetterLo in Rapporto Costruttivo con altre Individualità, altrettanto, Arricchite o Persuase della Necessità dell’Arricchimento. Quindi, bisogna Imparare a Vivere, responsabilmente; a Fare Scelte Consapevoli e, secondo la “Paideia” di Machiavelli, Considerare lo Studio: Brama, Desiderio, Volontà di Dialogo Divertente (da “deverto”, cambiare la rotta dell’esistere nostro) con i Grandi, Capitalizzando le  loro Esperienze, i Risultati del loro Zelo in tutti Campi in cui un Uomo possa AppassionarSi o ai quali Si Senta Vocato. Così lo Studio non sarà più arido nozionismo,  erudizione da prostituire o da mercificare, ma Mezzo per Capire il nostro presente nella “casa mondana”, slegandolo da un passato, cruentamente, umano e proiettandolo in un futuro che non sia la solita, malinconica Utopia di una nuova aurora. Negli “Scritti teatrali” Brecht Scrive: ”Alcuni strati sociali non pensano affatto a migliorare le loro condizioni di vita, poiché le giudicano soddisfacenti (…)Ma vi sono altri strati sociali che si sentono scontenti dei rapporti in cui vivono: costoro hanno per lo studio uno  smisurato interesse pratico, vogliono assolutamente orientarsi, sanno che, senza lo studio, saranno perduti. Essi sono i migliori, i più avidi studiosi. Le medesime differenze valgono anche fra paesi, fra popoli. Il desiderio d’imparare dipende dunque da vari fattori, ma non si può negare l’esistenza di un entusiasmo per lo studio, di uno studio gioioso e combattivo. Se non vi fosse questa possibilità di studiare divertendosi, allora veramente il teatro, per quella che è la sua struttura, non sarebbe assolutamente in grado d’insegnare”. Caro Brecht, ciò che ho Trascritto dai Tuoi “Scritti Teatrali” potrebbe essere stato verosimile nella tua germania, al tuo tempo, forse. O avrai Giudicato che sia contro Natura l’odio nei riguardi dello Studio, l’indifferenza nei riguardi dell’ ”Arricchimento Culturale e Spirituale”, di cui ho, “antea”, Discorso, da parte degli strati sociali che non hanno, mai, avuto Peso Politico nei loro paesi e, purtroppo, continuano, felicemente, rassegnati, a non averNe. Essi non s’impadroniscono, pur se si sono a loro spalancate le porte delle scuole, di quegli Strumenti Culturali (La Scienza, l’”Humanitas” della Storia, delle Lettere, della Filosofia, dell’Arte) Salutari per l’Orientamento nei rapporti sociali del loro tempo, affini, ahimè, a quelli del passato, patrimonio di minoranze, privilegiate nel passato e nel presente, che, anche, grazie al possesso di tal Esclusivo Bagaglio di Conoscenze Scientifiche e Umanistiche, perseverano o perseguono l’”infinocchiamento di essi”. La scuola pubblica italiettina è gremita da rampolli della piccola – borghesia, del proletariato, del sottoproletariato. Quindi, è gremita dai prodotti dell‘indaffararsi spermatozoico degli strati sociali che tu hai Sognato, totalmente, Immersi nell’Acquisizione Gioiosa del Sapere, Certi che Essa è l’Ineludibile “Condicio sine Qua non” sia possibile Trascendere la millenaria sudditanza delle maggioranze nei riguardi di minoranze, dal forte, insopportabile odorato  di mafia e di massoneria. Invece, non del Sapere hanno dimostrato, almeno nell’italietta (ma se le sparta piangono, pur non ridono le atene del pianeta) di essere avidi gli strati sociali, di cui sopra, sebbene del pezzo di carta, del lauro di plastica che ridicolizzano le cervici dei loro figli e, nonostante  codeste protesi, che, tra l’altro, non ufficializzano, non certificano alcunché, la loro minorità sociale “manet optime”. A parte il fatto che nell’ italietta, inventrice del nepotismo, per poter  esorcizzare gli effetti della partenza privilegiata verso l’empireo sociale dei pochi nepoti di coloro che sono, in pochi, già ben piazzati in/su di esso, bisogna essere non quanto loro, ma mille volte più bravi di loro che, proprio per conservare il primato, gli annessi e connessi della loro classe, sono stati, sono dai loro genitori o nonni, non stupidi quanto  gli omologhi piccolo- borghesi o proletari, obbligati a far fiorire  calli, “ove non v’è che luca”, ché tutte le possibili, eventuali raccomandazioni in loro favore servano da supporto a Competenze Professionali di non poco Momento, non di Esse sostitutive. Cosa potranno, giammai, sperare dal trascorrere dei loro anni i duecentomila galleggianti nel “mare magnum” dell’ebetudine, che hanno  pazientato, per ore, sotto la pioggia; che si sono messi in cammino dalle località più da roma lontane per godere in “piazza san giovanni” il “brutto” musicale, loro propinato da pagliacci brutti, “tout court”, barbuti, tatuati secondo il ”trend” in corso, falsi musicisti, ché incapaci di leggere e scrivere musica ? Il 1° Maggio fu Istituito ché, mai, fosse dismessa la Rimembranza del Martirio di 5 Sindacalisti Americani, August Spies, Albert Parsons, Adolph Fischer, Georg Engel, Louis Lingg, impiccati il 10 novembre del 1887 a chicago, per aver lottato ché, finalmente, la giornata lavorativa fosse di 8 ore. Conquista, da Marx Ispirata e Sollecitata, ché i Lavoratori avessero il Tempo e l’Energia Fisica per DonarSi all’Amore di Ciò che Raffina. ”Perché l’arte non dovrebbe, /naturalmente con i mezzi a lei propri, /contribuire alla grande impresa /di rendere l’uomo padrone della vita ?”. Tanto Cantava Brecht, per Avvertire i proletari che avrebbero Realizzato, Pienamente, Se Stessi se, AllontanandoSi dalla comune pazzia di spingersi, a vicenda, nei vizi, S’Incamminassero pel Viatico della Bellezza che, anche, è Viatico della Verità. Per quel Viatico Brecht, in Consonanza con Marx, era Convinto che ci fosse tutto un Mondo da Guadagnare.

Pietro Aretino, già detto Avena Gaetano        


Pubblicato il 10 Maggio 2016

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio