Cultura e Spettacoli

Dentro, l’ultima volta

Non serve essere mostri per finire il resto della vita dietro le sbarre. Basta essere balordi e in credito con la fortuna. E’ il caso del protagonista di  ‘Carcere a vita. Il racconto di un ergastolano’, una produzione Espressioni Contemporanee. Lo spettacolo, scritto, diretto e interpretato da Alfredo Vasco, è in cartellone al Duse sino al 19 luglio. All’interno di uno spazio pressoché nudo, a parte una brandina, una sedia e un tavolino, si svolge il monologo del Nostro. A chi egli parla, a sé stesso, a un compagno di cella, a un altro carcerato durante l’ora dell’aria, a un visitatore, a un magistrato di qualche Corte d’Appello? A chi egli spiega le ragioni di un fallimento che fa rabbia per il modo in cui è maturato? Questo ripercorrere una vita sbagliata, dai primi innocenti giochi di strada sino al doppio omicidio che aprirà le porte all’ergastolo, dà la sensazione della prova d’autodifesa in vista di ben altro grado di Giudizio. Giudizio che si annunzia particolarmente a rischio dal momento alle due (gravi) colpe di partenza si aggiunge quella del suicidio, al quale nel finale  l’ergastolano dà corso ingoiando una quantità letale di barbiturici. La sensazione nasce dal fatto che qui non si percepisce la cella. Sì, non ne mancano segni inequivocabili, ugualmente sembra di stare come dentro una ‘bolla’ del tempo e dello spazio dove sbarre, serrature e secondini non hanno ragione d’essere. Il nostro galeotto è come dentro un limbo, questa desolante condizione del pensiero entro cui languisce chi è prossimo a darsi al morte. In uno stato di sospensione si consuma una confessione minuziosa. La coscienza viene rivoltata come un guanto, si inventariano colpe, si accantonano attenuanti. Schegge di vissuto riemergono come relitti : le marachelle infantili, i primi passi nel mondo della micro criminalità, infine i ‘colpi’. Sullo sfondo (autobiografico, chissà) di un affresco personale prende forma una Puglia sospesa tra dopoguerra e miracolo economico, una realtà di provincia dove il sesso è fissa inappagata e dove una Muratti Ambassador attaccata all’angolo della bocca è viatico d’accesso al tavolo dove i ‘grandi’ giocano una ‘stop’ da brivido. In mezzo a tutto questo, il rimpianto di Sara e di Andrea, irrecuperabili moglie e figlio, gettati come fiches sul panno verde nello squallido retrobottega di un bar. Vasco è crudo nel dire, talora anche greve, ma ci può stare. In scena è solo lui, che ancora da solo si dirige, forse chiedendo troppo a sé stesso. Ma episodici cali di tensione non inficiano la qualità di una messinscena che non stanca e che per un’ora buona ha tenuto desta la platea. Applausi convinti al termine.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 7 Luglio 2015

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio